Professione legale: il pregiudizio inconscio frena la parità di genere



Da: Newsletter Inhousecommunity.it  
 


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Newsletter N° 155 de l 12 aprile 2019

Professione legale: il pregiudizio inconscio frena la parità di genere


di rosailaria iaquinta


Sebbene siano sempre più numerose le donne nella professione legale, il soffitto sulla loro testa è ancora di cristallo. Soprattutto per quelle che lavorano nella libera professione. E la ragione principale di questa ingiustizia sociale sta nel pregiudizio inconscio.

È quanto emerge dall'ultimo report della Law Society sulla parità di genere nella professione legale Influencing for impact: the need for gender equality in the legal profession pubblicato a inizio mese.

A sette anni dalla pubblicazione dell'ultimo report sul tema gender equality da parte dell'organizzazione professionale dei solicitors (Setting the agenda for change, diffuso nel 2012) è cambiato poco, ammonisce la ricerca. Fatta eccezione per i ruoli da giurista d'impresa e per alcuni incarichi negli studi legali, la parità non si raggiunge semplicemente con il passare del tempo. Ai vertici continuano a sedere gli uomini. Nonostante in tutto il mondo siano sempre più numerose le avvocate. Se poi le professioniste appartengono a comunità etniche minoritarie o hanno qualche disabilità, le barriere che ostacolano la loro carriera si moltiplicano ulteriormente.

A credere che l'ostacolo principale per la progressione di carriera delle donne negli studi legali siano i pregiudizi inconsci è il 52% dei circa 8mila intervistati dalla Law Society. Il bias all'interno di un'organizzazione non sempre è evidente o tangibile e si traduce in piccoli comportamenti che escludono le persone, e che poi condizionano la valutazione delle loro performance e, di conseguenza, il processo di promozione e remunerazione che le coinvolge (oltre il 60% degli intervistati ha confermato che all'interno della propria organizzazione esiste un problema di divario retributivo di genere).

Ma è possibile superare i pregiudizi inconsci? Secondo lo psicologo del lavoro Paolo Lanciani, «non è semplice, per almeno tre motivi. Il primo è che è inconscio. E non basta segnarlo, e questo è il secondo, per via della sua connotazione; dire a una persona che la sua decisione è frutto di un bias, è come dirle che ha sbagliato, la pone sulla difensiva e, paradossalmente, diventa più facilmente preda di pregiudizi che confermano e irrigidiscono le sue posizioni. Il terzo è che il concetto di bias è accademico, è un modello che generalizza e sintetizza e approssima le infinite declinazioni personali. Tutti siamo vittime di bias di genere, ma nella stragrande maggioranza dei casi non ce ne rendiamo conto. Per superarli bisogna fare un lavoro personale di emancipazione; che ogni persona deve scegliere di intraprendere su propria iniziativa riconoscendone il vantaggio. Il sessismo ci rende stupidi. Non vale quindi la pena esplorare il nostro funzionamento mentale? Non per metterci in discussione o dare ragione a chi ci accusa, ma per essere certi di esprimere sempre il nostro pieno potenziale e poi saperlo cogliere e valorizzare nelle persone che collaborano con noi, a prescindere dal genere».

Per gli studi legali i suggerimenti della Law Society sono quelli di provare ad affrontare dall'alto i pregiudizi, mettendosi in discussione con umiltà, e trasferire un buon esempio a tutte le risorse, creando consapevolezza. Di pari passo bisognerebbe prestare attenzione ai processi di selezione e poi di crescita delle persone.

Al di là del lavoro personale, che ci auguriamo gli uomini intraprendano, le organizzazioni, aziende e law firm, hanno la responsabilità di fare qualcosa. L'uguaglianza di genere, le pari opportunità e l'attenzione alla diversità e all'inclusione sono driver della produttività.


rosailaria.iaquinta@inhousecommunity.it

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