Not new now. L'idea di nuovo alla prova dell'arte.



Da: Pierluigi Casalino 
 
Negli ultimi decenni la questione dell'impossibilità di realizzare qualcosa di nuovo nell'arte si è diffusa, esercitando una grande influenza. Sembra che tutti siano felici per la perdita della storia, dell'idea di progresso, del futuro utopistico: tutti momenti tradizionalmente connessi al fenomeno della novità. Così il mediologo russo-tedesco Boris Groys apre uno dei saggi raccolti nel suo Art Power, dove affronta l'idea di "nuovo" nell'arte, capovolgendo in parte la tradizione avanguardista che ci ha abituato a pensare che la novità risieda nella diversità e che il museo sia soltanto ed unicamente la roccaforte del vecchio. Al contrario, il museo è, secondo Groys, il luogo dove trovare, o meglio, prendere coscienza dell'innovazione attraverso il confronto con la storia e con ciò che già esiste, tenendo conto più delle uguaglianze che delle differenze. Molte occasioni di incontro artistico o mostre, quindi, spostano l'attenzione dell'anelito del nuovo, cioè al futuro, verso una maggiore consapevolezza del presente, dove ciò che davvero conta, in una prospettiva sociopolitica, è l'azione nel qui e ora. Una particolare iniziativa in tale direzione si distingue nei progetti di carattere pubblico, coordinati dal collettivo franco-marocchino "Awaln'art", la cui attività punta fin dagli esordi alla promozione dell'arte nel contesto urbano, estendendo il suo modello oltre i confini storici in cui si è formato in origine, affermandosi come elemento di analisi e di rappresentazione del rapporto dinamico tra città ed abitanti. In tale quadro, si individuano esperienze di un mondo culturale che non ti aspetti. Molti artisti appartenenti all'ambito culturale e geografico afro-mediorientale, ormai trattano senza infingimenti temi d'attualità, legati soprattutto all'intricata relazione tra mondo occidentale e mondo arabo. Tra essi nomi storici, quali il pittore Farid Belkhaia e il cineasta Ahmed Bouanani, entrambi marocchini e ora scomparsi, che, nella metà del secolo scorso, hanno presentato e contribuito a rinnovare l'identità del loro paese. Il primo attraverso una sorta di alfabeto berbero fatto di materiali tradizionali come il cuoio, la pelle, l'henne'; il secondo con un cortometraggio (e un solo lungometraggio del 1979, Mirage), dove la memoria storica si alterna ad un immaginario poetico dolce e ad un tempo amaro. Ad artisti di area araba, ormai celebri sulla scena internazionale, come il libanese Mouna Hatoum e il franco-algerino Kader Attia, si affiancano giovani emergenti, tea cui la marocchina Bouchra Khalili, che con i suoi video racconta metaforicamente la vita come un continuo viaggio e passaggio da un continente all'altro, il libanese Haig Aivazian, il cui racconto creativo è frutto di diverse sovrapposizioni linguistiche e semantiche, l'architetto siriano Khaled Malas, che ha partecipato anche alla biennale di Venezia del 2015, costruendo un padiglione temporaneo all'interno della sezione Monditalia alle Corderie, con un progetto di ricerca sui cambiamenti ambientali e paesaggistici che la guerra  ha provocato nel suo paese. 
CasalinoPierluigi

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