LORENZO BARBIERI-LA ZETTABYTE ERA

by
Noi Robot
(Autori: Lorenzo Barbieri, Sandro Battisti,  Pierluigi Casalino, Angelo Giubileo, Roby Guerra, Davide Longoni, Bruno V. Turra) -  THE ITALIAN  TRANSHUMANIST
tratto da  Zoltan Istvan, Made in Italy  a cura  R. Guerra  (Asino Rosso eBook 2019)




FARE I CONTI COL FUTURO


PREMESSA
La strada dell'uomo ha in questi ultimi decenni ha smesso di essere uno sterrato stradino e si è trasformata in una moderna autostrada: i fatti ce lo testimoniano ogni giorno.
L'aumento della popolazione mondiale, il progresso scientifico, il miglioramento del benessere generale sono tutti indicatori di un sostenuto sviluppo tecnologico che abbiamo intrapreso certamente dall'avvento di internet.
La rete, o meglio le reti di relazioni, ci hanno consentito di condividere, tra le orde di gattini e demenziali video, anche conoscenza.
Il futuro insomma è sempre stato, ed è, tra noi, solo che non è distribuito in maniera uniforme.
Fu già Max Weber a cogliere i segnali del latente cambiamento con cui oggi ci troviamo a confrontarci; nel 1919 il pensatore tedesco scrisse: "a differenza delle generazioni che ci hanno preceduto, oggi gli uomini non muoiono più sazi della loro vita, ma semplicemente stanchi".
Questa era dei Big Data, la Zettabyte Era, mette in discussione il nostro modo di vivere e di interagire con il mondo. La società dovrà abbandonare almeno in parte la sua ossessione per la causalità in cambio di correlazioni semplici, passare dall'ontologia delle cose a quella dei processi: non dovrà più chiedersi perché o come, ma solo chi o cosa.
Questo nuovo modo di affrontare i problemi ribalta secoli di di prassi consolidate e mette in crisi il nostro approccio istintivo alle decisioni e alla comprensione della realtà[1].


FARE I CONTI CON NOI STESSI
Per capire le coordinate geografiche del cambiamento occorre far presente che millenni or sono non si era capaci di trasmettere informazioni e conoscenza: nella preistoria non si disponeva di alcun tipo di mezzo per tramandare quindi il sapere. Oggi diremmo che non v'era un'infrastruttura e non c'erano le tecnologie poggianti su di essa, le ICTs.
Per centinaia di anni poi l'uomo cominciò a scrivere, a comunicare informazioni e a tramandare conoscenza e costruire il sapere: la biblioteca di Alessandria e i monasteri europei sono fulgidi esempi di internet ante litteram. Un universo di conoscenza, limitato.
Vi erano insomma ICTs, gli imperi, romano e britannico, sempre per accomunare il periodo, si basavano su informazioni e avevano una loro infrastruttura che gli consentiva di decidere informati.
Poi è arrivata internet, o meglio sta arrivando.
Il futuro, anche qui, non è uniformemente distribuito.
Parte del mondo è vulnerabile agli attacchi cibernetici eppure in centrafrica o nell'Asia più interna difficilmente se ne accorgerebbero.
Viviamo quindi su piani diversi, sulla stessa linea temporale ma in mondo diversi.
Ci sono Stati immersi, seduti, completamente assuefatti dall'infosfera e dalle ICTs, senza le quali non riuscirebbero più ad erogare prestazioni basilari, e angoli del pianeta che non sono ancora "società dell'informazione".
Capire questo, i diversi piani di questa scacchiera multilivello su cui si gioca una partita cruciale per lo sviluppo della società, può aiutare a comprendere i valori in gioco.
Il digitale, laddove è arivato, ha rimescolato e contrapposto come mai prima d'ora i diritti umani: è in questo senso che la società, laddove voglia virtuosamente progredire, deve riprendere le redine dell'auriga.


FARE I CONTI COI BIG DATA
Martin Hilbert, docente della University of Southern California, ha pubblicato uno tra gli studi più esaurienti in materia di quantificazione di dati[2], ovvero di tutto ciò che è stato prodotto, archiviato e comunicato.
Stando ai suoi calcoli nel 2007 sono stati archiviati oltre 300 exabyte di dati, 300 miliardi di gigabyte.
Sempre nel 2007, ormai un'era geologica fa, solo il 7% dei dati era in formato analogico.
Nel 2013 la quantità di informazioni del mondo è stimata intorno ai 1200 exabyte e meno del 2% è in forma non digitale: stampati su libri cartacei si coprirebbe l'intera superfice degli Stati Uniti 52 volte o, se raccolti in Cd-Rom, arriverebbero alla Luna in cinque separate pile.
Questo tsunami silenzioso sta annichilendo la nostra capacità di archiviazione privata e lasciando nelle mani di pochi la memoria collettiva.
Tra il 1453 e il 1503 furono stampati circa otto milioni di libri grazie a Gutenberg, più di tutti quelli prodotti dagli amanuensi d'Europa sin dalla fondazione di Costantinopoli.
In Europa, all'epoca, le informazioni ci mettevano quasi 50 anni a raddoppiare. Oggi ne bastano solo tre.
Il diluvio di dati non pone però solo problemi ai bibliotecari e agli storici di tutto il globo ma anche a noi stessi.
La capacità di "datizzazione" ovvero di tramutare in dati tutto ciò che ci circonda e anche noi stessi è aumentata esponenzialmente tanto che numerosi sono gli apparati in grado di misurare le nostre attività, online e offline: dai passi che facciamo tutti i giorni ai siti web che visitiamo e che ripropongono sui social network le pubblicità correlate.
In fondo il nostro stesso agire, datificandolo, è diventato un bene e, nel Far West digitale, è una risorsa che in molti hanno definito "il nuovo petrolio".


FARE I CONTI CON LA DEMOCRAZIA DIGITALE
Qualche anno fa Sebastiano Vassalli scriveva "abbiamo perso il futuro", delineando un tratto sempre più presente nella quotidianità come l'immaginare "gli scenari della fine del mondo" e le catastrofi distrazioni queste che ci impediscono di dare forma alle nostre speranze, di ritrovare il futuro.
"Abbiamo perso il futuro. Gli scenari della "fine del mondo" cambiano, ma la perdita del futuro è dentro di noi e noi ne siamo i portatori, anche se non condividiamo le ragioni di chi immagina un avvenire di catastrofi e magari non le conosciamo nemmeno. Viviamo in un mondo che fa sempre più fatica a guardare oltre il proprio presente: perfino in quelle attività umane, come la letteratura e le arti, di cui in passato si pensava che dovessero tendere al sublime, cioè a qualcosa di eterno"
Il digitale è stato o si è fatto, al colto lettore la soluzione, portatore di una grande promessa: il miglioramento della società e, quindi, della democrazia.
Un cambiamento epocale: il cittadino ai margini della società ha ora accesso alle informazioni e può esprimersi e, anzi, in democrazia diretta decidere.
È una presunzione errata.
Il modello di una compiuta democrazia digitale è l'allargamento dell'agorà di pari che possano così lavorare confrontarsi più approfonditamente e patto sociale implicito è avere un livello medio di istruzione più avanzato che possa consentire di comprendere maggiormente i propri limiti.
È un errore madornale, scriveva Ortega nel 1922, saltare dal fallimento di una élite alla conclusione che si possa fare del tutto a meno di qualsiasi élite, in virtù magari di «teorie politiche e storiche che presentano come ideale una società esente di aristocrazia". "Poiché questo è positivamente impossibile», concludeva il filosofo, «la nazione accelera la sua parabola di decadenza".
Negli ultimi due decenni abbiamo gettato via il bambino con l'acqua sporca: per odio verso le caste, abbiamo distrutto le élite e i luoghi nei quali potevano formarsi. A tal punto che oggi non troveremmo una élite politica neppure a volerla. Continuiamo così a chiedere risposte alla politica proprio mentre la priviamo degli strumenti per darcele. E ci affidiamo all'antipolitica, che di quegli strumenti s'illude di poter fare a meno. E perciò fallisce.[3]
In fondo siamo brontosauri morali alla guida di un'astronave.


NOTE 
[1] Mayer-Schönberger, V. - Cukier, K. (2013). Big Data, Garzanti, Milano, p. 16. [2] M. Hilbert e P. Lopez, The World's Technological Capacity to Store, communicate and Compute Information, Science, 1 aprile 2011, pp. 60-65 e How to Measure the World's technological Capacity to Communicate, Store and Compute information?, International Journal of Communication, 2012, pp. 1042-1055 [3] G. Orsina, Perché la politica ha bisogno di un'élite, la Stampa, 22 dicembre 2016 

LORENZO BARBIERI  - GEOPOLITICO