L'autostrada di Salvini : di ANGELO GIUBILEO


 

 

L'autostrada di Salvini

L'esito del voto amministrativo in Basilicata ha un'importanza di gran lunga superiore al fatto, già di per sé molto rilevante, che dopo 25 anni di governo del centrosinistra il centrodestra conquista il potere in regione. E, ancor di più, ed è questo il punto di svolta principale, in una regione del sud dov'è per la prima volta il partito della Lega a fare da battistrada e raccogliere, per sé soltanto, il consenso del quinto della popolazione di votanti, ovverossia il 20% dei voti validi.

Il consenso per Salvini cresce ininterrottamente da quando è al governo del paese, e quindi da quasi un anno ormai. Prima ancora: egli è stato capace da leader della Lega di tirare fuori il partito dalle secche in cui l'aveva precipitato la precedente gestione di Bossi, poi di trasformarlo da partito del territorio in partito della nazione, e infine assurgere a leader in pectore dell'intera coalizione di centrodestra. E, in effetti, è questo l'ultimo passo che gli resta ancora da completare, ma è indubbio che egli, avendo sfidato la leadership padronale o patronale di Berlusconi, dopo i tentativi falliti di altri e tra questi emblematicamente di Gianfranco Fini, si appresti ora a raccogliere definitivamente l'eredità del Cavaliere.

Nello spazio più ampio della contesa politica, che riguarda il ruolo del governo nel paese, l'azione di Salvini si avvalsa e si avvale inoltre di una strategia che non è affatto di breve periodo e che, viceversa, almeno per ora sembra mancare agli altri leader di partito. Salvo, forse, Giorgia Meloni, che si è dichiarata sin dalla prima fase dell'attuale governo gialloverde disponibile a dare un aiuto, se richiesto, a Salvini. Insieme, ricordo, i due leader hanno imposto al centrodestra il candidato vincente alle amministrative della Sicilia, da cui è partito nel novembre 2017 il filotto delle vittorie delle regionali per il centrodestra.

Nel centrosinistra, invece, sembra che un anno di dibattiti dalle politiche non solo sia passato invano ma abbia prodotto nuove e ulteriori ferite al proprio interno. I due partiti del M5S e del Pd continuano a percepirsi e interagire in modo separato, escludendo aprioristicamente che possa nascere una sinergia tra loro o quanto meno un'ipotesi di piattaforma comune.

Entrambi si affidano o dicono di affidarsi alla prospettiva di liste civiche, che possono svolgere un ruolo alle amministrative ma non così può essere e sarà alle prossime politiche. In tal guisa, anche la strategia di entrambi sembra comune: togliere consenso gli uni agli altri, con l'esito che occorre registrare, per ultimo in Basilicata, laddove il M5S è sceso vertiginosamente al 20% e il Pd è addirittura sprofondato al di sotto dell'8%. A tale proposito, il Pd ha parlato immediatamente di "tracollo" dei Cinquestelle, ma è più che evidente che trattasi invece di un altro classico caso, ovverossia il caso della pagliuzza e della trave visti da occhi incapaci di scrutare la realtà divenuta ormai quotidiana.

Il Movimento - che del fatto di non essere un partito, di non voler cioè rappresentare una parte, ma per l'appunto l'intera cittadinanza di riferimento in movimento -, approdato al governo, è stato a causa degli eventi, costretto a cambiare strategia e ora si dice anche assetto, più vicino alla forma partito. E quindi, al fine di continuare a governare il paese, sembra che non gli resti più altra strategia se non che cercare di resistere all'avanzata del centrodestra e di Salvini. Oppure: cercare un accordo con il Pd.

Messo da parte l'ostracismo degli antagonisti renziani, l'avvio del dialogo tra M5S e il Pd di Zingaretti potrebbe rivelarsi possibile. Ciò che invece è certo è che l'unica strategia che resta al Pd di Zingaretti, che sia davvero nuova e in generale capace e quindi vincente, sia quella innanzitutto di liberarsi all'interno del proprio partito dei tanti ancora interpreti e vecchi capibastone, alcuni perfino appartenuti alla Prima Repubblica. Dopo venticinque anni e oltre, così come in Basilicata, è senz'altro ora che se ne faccia ammenda.

                                                                                                          Angelo Giubileo