Si dice comunemente che i numeri sono numeri e che sia altrettanto difficile confonderne il senso interpretativo. E allora, per quanto riguarda la vicenda dell'eventuale procedura d'infrazione Ue nei confronti del nostro paese, facciamo parlare i numeri e, in aggiunta, i rappresentanti dell'Ue a oggi maggiormente titolati nella vicenda stessa, che dovrebbe conseguentemente aprirsi dopo la bocciatura dei nostri conti da parte della Commissione europea.
Partiamo dalle stime. Secondo il giudizio, tutto sommato condiviso dal governo nazionale, il debito pubblico si aggirerebbe intorno al 130% del Pil; mentre per niente condiviso è il giudizio sull'indice del deficit previsionale contenuto nella manovra finanziaria annuale: per il governo in misura pari al 2,4%, per la Commissione al 2,9%, del Pil.
Tale la previsione in deficit, ma come si arriva a questa valutazione? Mediante un giudizio economico o anche politico?
In pratica, il conto scaturirebbe da una regola comunitaria che prevede, in caso d'infrazione, come sottolinea il presidente dell'Eurogruppo Mario Centeno al Corriere della sera, "un taglio della parte eccedente il 60% del Pil di un ventesimo all'anno. Per l'Italia, che ha un debito del 130% del Pil, significherebbe una sforbiciata teorica di 63,7 miliardi di euro l'anno". Ovverosia: una sanzione o recupero di 63,7 miliardi di euro ma che sarebbe anche possibile spalmare su un bilancio pluriennale di sette anni, quale appunto è quello dell'Ue, per un importo che potrebbe essere quindi pari a 9,1 miliardi di euro per anno, e cioè lo 0,5% del Pil.
Se è così come si dice oggi, pare innanzitutto strano che non si discuta più dell'obiettivo di deficit fissato, all'inizio della discussione sulla manovra finanziaria annuale, dalla Commissione europea all'1,6% del Pil. Così che, sembrerebbe che i numeri in discussione siano cambiati, e aggiungerei di molto, anche per la Commissione europea. Dov'è finito l'obiettivo dell'1,6%, ovverossia 0,8 punti percentuali in meno rispetto al 2,4% e addirittura 1,3 punti percentuali in meno rispetto al 2,9%?
Ma, leggiamo anche cosa dice il capo di gabinetto della Commissione, Pierre Moscovici, sempre al Corriere della sera. In particolare, alla domanda di Federico Fubini "Le interessano i saldi del deficit o come l'uso specifico del deficit influenza la capacità di crescere?", Moscovici risponde: "Mi interessano i saldi: è la regola. Ma guardiamo alla composizione del bilancio e non ci sembra idonea, perché il principale problema dell'Italia è la produttività. Era meglio concentrare la spesa sugli investimenti".
E dunque, sembrerebbe così, che oltre al deficit il problema sia anche la produttività e la spesa per gli investimenti. Per inciso e banalmente, non ricordo però, almeno a mia memoria, che governi italiani del recente passato si siano impegnati o abbiano piuttosto prodotto significativi risultati in tal senso. "E dunque - ribatte Fubini -, se il bilancio fosse più favorevole agli investimenti e alla produttività, con gli stessi deficit la situazione sarebbe meno grave?". Risposta di Moscovici: "Non ho detto questo. La mia responsabilità è assicurarmi che i deficit strutturali si riducano e che il debito pubblico sia sotto controllo".
Ma: mi ostino a credere che non sia principalmente una questione di numeri, né di bilancio. Quanto piuttosto sia una questione politica di governo dell'Ue che investe il governo nazionale. E così, penso proprio che ne riparleremo ancora a lungo, e comunque almeno fino ad aprile, il mese che precede le nuove elezioni del Parlamento europeo, e a luglio dell'anno prossimo. Infatti, la procedura d'infrazione Ue prevede che tali siano le date di scadenza entro le quali si debbano adottare eventuali modifiche alle misure economiche finanziate in deficit o, in mancanza, che le sanzioni diventino definitive.