Gianni Venturi ricorda il grande architetto e intellettuale ferrarese Carlo Bassi

fonte Ferrara Italia  di Gianni Venturi


Carlo Bassi e la cultura ferrarese

Vorrei anch'io aggiungere un ricordo, seppur frammentato e incompleto, di Carlo Bassi.
Si parte da una conoscenza che fu tarda e complessa, in quanto coinvolgeva altre figure di spessore che erano e sono imprescindibili dalla mia formazione e dal mio sentirmi straniero in patria. Non tanto e non solo perché la città natale come un pungolo o un rovello la osservavo da fuori le mura come è accaduto a Carlo Bassi, ma nello stesso tempo condizionato da quel principio di 'ferraresità' che implacabilmente agisce e si presenta in modo proteiforme: ora come presunzione, ora come rancorosità, ma soprattutto come eredità ineliminabile e condizione di un pensiero.

Carlo Bassi è erede e continuatore di quella tendenza novecentesca alla simbiosi tra l'essere artista nelle più diverse declinazioni e la necessità di narrare questa esperienza, quasi che, secondo il principio del primato delle arti, tutto debba per forza essere ricondotto alla scrittura quale summa della considerazione primaria che descrivere il mondo è crearlo. Un principio per Carlo insopprimibile in quanto in lui agì da sempre la sua formazione cristiana e religiosa, che lo portò non solo a ideare e fattualmente sperimentare il principio di essere il costruttore delle case del Signore, ma d'infondervi la convinzione di una religiosità che è novità, che è ribellione al conformismo ecclesiale. Come appare nel periodo della sua formazione intellettuale, che si esprime non solo nell'apprendistato difficilissimo degli anni più roventi della guerra, ma che immediatamente si attua nella sua esperienza politica del dopoguerra, quando si allea con quelle persone straordinarie che hanno ricostruito intellettualmente l'immagine di Ferrara città fascista per antonomasia nel Ventennio. Giorgio Franceschini, Luciano Chiappini, Paolo Ravenna tra i primi. E mi è motivo d'orgoglio ritrovare nell'intervista che rilasciò nel 2008 a 'La Nuova Ferrara', dal titolo assai pertinente 'Questi silenzi mi turbano', il ricordo dell'influenza che nell'immediato dopoguerra ebbe il comune maestro e amico, il sardo-ferrarese Claudio Varese:
"Vorrei ricordare tanti amici carissimi da Vittorio Passerini a don Franco Patruno, e poi Claudio Varese maestro e amico indimenticabile mio e di chi lavorava con me a 'Incontro' e a 'Quaderno'".

L'idea di ricostruire la città anche e soprattutto non solo riconoscendone il volto distrutto dalla guerra e riproposto attraverso gli sciagurati sventramenti del centro per riproporre una mediocre versione della tronfia retorica piacentiniana, ma soprattutto quella di ricostruirne il pensiero soffocato nella silenziosa opposizione al regime attraverso riviste e giornali come quelli da Bassi citati.
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