IL FANATICO E IL SENSO DELL'UMORISMO

C'è una pungente riflessione sul fanatismo che viene in mente in tempi di crepuscolo della ragione come i nostri. La frase è di un ebreo sabra (cioè indigeno, nato in Israele, e più precisamente a Gerusalemme, nel 1939) che, come spiega questo stesso vocabolo, è spinoso come un fico d'India e critico anche della politica del suo Paese: parliamo di Amos Oz, scrittore israeliano, tradotto in molte lingue, compresa la nostra. "Non ho mai visto un fanatico religioso avere senso dell'umorismo. Né una persona con senso dell'umorismo diventare fanatico": queste sono le riflessioni di Oz, una cartina tornasole della sindrome che contamina le religioni (ma non solo), spesso per indotta iniezione di veleno propinata dalla politica ovvero dalla lettura politica della religione a fini di interessi di bottega di questo o quello stato è proprio l'assenza di umorismo, per non dire poi dell'autocritica, ma non l'autocritica dei regimi totalitari che suona ad auto-assoluzione da crimini nel cui nome comunque essi si fondano. L'ironia (non l'insulto becero e ridicolo) è indizio di intelligenza nel distinguere il bene e il male con equilibrio e non colpi di spada. In proposito non guasta concludere con Ionesco, che, nelle sue celebri "Note e contronote", scriveva: "Dove non c'è umorismo, non c'è umanità, dove non c'è umorismo c'è il campo di concentramento!". E, aggiungere, la strage terroristica di innocenti come sta avvenendo da troppo tempo ormai con la complicità non di rado di centrali insospettabili.
Casalino Pierluigi