IL GENIO DI FLORENSKIJ

Qualche anno fa, sempre su Asino Rosso, ho ricordato lo straordinario lascito culturale e semantico di Pavel Florenskij, figura intrepida di intellettuale e di religioso nella Russia di Stalin. Genio multiforme e interprete di grande livello dell'anima russa, Florenskij, detto anche il maestro della parola, finì i suoi giorni nelle carceri staliniane e visse lo stesso dramma dei grandi spiriti del suo tempo, da Maiakovskij a Bulgakov. Le edizioni San Paolo hanno dato di recente alle stampe la traduzione di un classico di questo autore dai mille volti, contrario sia all'autoritarismo zarista che all'ateismo marxista che dominava in Russia: La Filosofia del Culto. Capace di passare dalla teologia alla filosofia, dalla mistica alla matematica, dalla scienza alla poesia, dall'ingegneria elettronica alla geometria non euclidea, Florenskij scrisse quest'opera dal titolo impegnativo e paradossalmente laico nella sua visione dottrinale ortodossa levando una critica all'Occidente, reo di aver abbandonato la cultura dell'uomo. Florenskij, autentica iconografia vivente della Santa Russia, muove da tale j'accuse per condannare la modernità come nemica della verità o come lui diceva "estranea alla religione". Sacerdote militante dei valori russi tradizionali, questo pensatore originale non respinge l'idea di progresso, ma la esalta nel contesto del principio di umanità, prendendo le distante dalle idee occidentali e fissando per la Russia analogo limite di civiltà. Particolarmente toccanti in questo libro sono le pagine dedicate al cristianesimo come testimonianza di martirio, oscuro presagio della sua morte. Nella fredda notte dell'8 dicembre 1937, dopo mesi di internamente nel gulag, con l'assurda accusa di essere un controrivoluzionario inneggiante a Trockij, infatti, Pavel Florenskij, che aveva esaltato il sangue come espressione della verità, verrà fucilato con altri nei dintorni di Leningrado.
Casalino Pierluigi