INTERVISTA A PIERFRANCO BRUNI
Professore.
Lei è vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani, è un
giornalista, poeta, biografo, direttore archeologo, coordinatore del
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e, recentemente, è stato
candidato al Nobel per la letteratura per la copiosa produzione e le
numerose traduzioni dei suoi lavori all'estero. Infatti lei è, senza
dubbio, tra gli scrittori italiani maggiormente tradotti nei Paesi
esteri. Come ha accolto la candidatura al Nobel? Se l'aspettava, oppure è
stata una splendida sorpresa?
E'
stata una splendida sorpresa, anche perché solitamente si fa una
cernita tra gli autori italiani coinvolgendoli direttamente nella fase
iniziale. Io non sono stato coinvolto inizialmente, di conseguenza è
stata una vera e propria sorpresa e questo mi ha dato la possibilità di
capire anche alcune articolazioni all'interno del premio Nobel che mi
hanno permesso di penetrare in realtà che sembrano strumentali da un
punto di vista letterario, ma che poi contano all'interno dei processi
culturali europeo-internazionali.
Lei
ha scritto anche saggi sulle problematiche relative alla cultura
poetica della Magna Grecia e si considera profondamente mediterraneo. E'
anche autore di un libro su Fabrizio De André, "Il cantico del
sognatore mediterraneo" giunto ormai alla sua terza edizione, nel quale
viene analizzato il rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema,
questo, che rappresenta un modello di ricerca sul quale sta lavorando
già da parecchi anni, non è così?
Esatto,
il rapporto tra poesia e musica, ovvero tra linguaggio musicale e
linguaggio poetico, è stato oggetto dei miei studi per molti anni. A
partire dalla metà degli anni Sessanta, da quando si è affermata una
finta neoavanguardia (Gruppo '63) che ha conosciuto la sua crisi con
Sanguineti e Pasolini, si è verificata la morte della poesia intesa come
innovazione e tradizione. Alcuni cantautori, tra cui Fabrizio De Andrè,
ne hanno risollevato le sorti. Secondo De Andrè era la musica che
doveva adattarsi al testo, diversamente da altri cantautori che creano
prima la musica e poi vi adattano le parole. Cantautori come Paolo
Conte, ad esempio, hanno lavorato moltissimo sulla parola creando prima
il testo e poi l'armonia musicale. Si tratta di cantautori che conoscono
benissimo la letteratura. Lo stesso De Andrè era un grande appassionato
di letteratura francese, questa conoscenza faceva sì che il rapporto
tra canzone e poesia fosse molto forte. Di certo questi cantautori hanno
contribuito a "risollevare" il linguaggio musicale, il linguaggio
poetico permettendo alla letteratura di poter trarre vantaggio da questi
rapporti. Vi è stato spesso un conflitto tra poesia e musica. Io credo
che la letteratura degli anni '60 abbia dato molto a questi cantautori.
Lei
ha da poco pubblicato un libro "Futurismo Renaissance" scritto in
collaborazione con lo scrittore futurista Roberto Guerra. Un libro
estremamente interessante nel quale ci si interroga circa l'eventualità
di una possibile rinascita delle avanguardie nell'era contemporanea, ma
soprattutto un libro in cui si tendono ad analizzare gli aspetti più
rappresentativi del Futurismo contemporaneo. A questo punto mi
interessava chiederle quali sono, a suo parere, le caratteristiche del
Futurismo contemporaneo e in che cosa si differenzia da quello storico?
Questa
è una domanda complicata, ma molto bella. Ringrazio Roberto Guerra per
avermi dato la possibilità di riflettere su questo rapporto in base al
quale il concetto di Rinascimento diventa punto nevralgico all'interno
di un processo futurista. Il Futurismo antica maniera ha rappresentato
l'unica avanguardia nazionale che è riuscita a portare l'Italia
letteraria nel mondo, e questo è vero perché il Manifesto di Marinetti,
pubblicato su "Le Figaro", forniva indicazioni precise in tutto il mondo
su come dovesse essere la letteratura per rimanere nella storia, nel
tempo e questo ha costituito un punto di grande vantaggio non soltanto
per la cultura futurista e le avanguardie dell'epoca, ma soprattutto per
l'Italia e per l'Europa intera. Molti paesi, tra cui la Russia, hanno
attinto a questa forma marinettiana. A partire dal '44 si ravvisano
segni tangibili di una rivoluzione del linguaggio e anche della vita. Il
Futurismo ha saputo inserirsi all'interno di un processo culturale in
quegli anni. Tutto ciò rientra in un percorso grazie al quale il
Futurismo è riuscito a resistere all'urto della storia e delle
sperimentazioni. Riguardo alla differenza tra il Futurismo marinettiano e
quello di oggi, sono del parere che il Futurismo marinettiano abbia
recuperato la tradizione della letteratura che si basava sull'incontro
tra il linguaggio occidentale e i linguaggi orientali e li abbia
innovati. Marinetti parte, quindi, dal concetto di innovazione ma poi
ritorna al concetto di tradizione per rinnovare quella tradizione che
era la tradizione post romantica. Il Futurismo di oggi attua questo
presupposto andando oltre, non soltanto attraverso le forme
linguistiche, ma anche attraverso forme di contenuto, tematiche vere e
proprie. Credo che il Futurismo di oggi abbia come consistenza la
serenità di essere depositario di una tradizione, ma nello stesso tempo
riesca ad innovarsi e a rinnovarsi sia attraverso la parola, i
contenuti, sia tramite la pittura e il colore.
...............CONTINUAArticolo completo
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STEFANIA ROMITO
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