Paolo Aita. Eleganza e competenza. È morto a 58 anni improvvisamente

 

di Pierfranco Bruni 


La vita cammina nella morte. Per un intellettuale. O la morte si sconta vivendo per Ungaretti. La morte ti raggiunge come improvviso mistero. Laico. Sacrale. Nel mito che chiede di essere ascoltato. Si fa tragedia e mai consapevolezza. Andiamo sempre oltre. Ci si perde. Poi ci raccoglie l'orizzonte. 
È morto improvvisamente Paolo Aita. Era nato nel 1958. Il critico d'arte. L'elegante studioso che conosceva l'estetica dei linguaggi. Le arti. La poesia. L'ermeneutica applicata alle forme e alle parole. Mio amico. Nati nello stesso contesto. Paolo di Spezzano Albanese. Io di San Lorenzo del Vallo. In quel tessuto territoriale che è la geografia della provincia di Cosenza. Viveva tra la Calabria dove insegnava a Catanzaro e Roma mia antica città e città nella quale vivo. Città della formazione. 
Più volte ci siamo incontrati a Roma. Paolo frequentava le arti, quelle serie quelle mature quelle vere, io le letterature le antropologie le archeologie. Interessati a comprendere i processi culturali. 
Un signore di altri tempi. Rispettoso e sempre raffinato nel suo dire. 
Anche a Taranto con amici comuni abbiamo presentato libri e mostre. Entrambi viaggiatori della diaspora. I suoi ultimi studi sull'arte applicata restano una testimonianza di alto spessore critico. 
Paolo con il sorriso approfondiva con serenità i legami tra la metafisica dell'arte e l'arte come metafisica. Credo che sia stato antesignano su una metodologia dei processi linguistici nelle articolazioni dell'apprendimento delle culture astratte e figurative. Dovevamo incontrarci per pensare a un libro a quattro mani. 
Paolo se ne è andato. Improvvisamente. Misteriosamente come i battiti dei cuori. Consapevolmente se pur in attimi di assoluta presenza di ciò che gli stava accadendo. 
Non solo uno studioso nella attrazione delle culture. Un uomo che viveva l'arte. Con stile e sguardo preciso. Si parlava. Parlare non è soltanto confrontarsi. È abitarsi ascoltandosi. Le nostre passeggiate romane finiscono qui. Restano le lunghe ombre dei ricordi avrebbe detto Cardarelli. Il poeta che tanto ci univa.