Oscar Bartoli: Il solito festival europeo di emozioni, deprecazione generale e retorica solidaristica.
"Letter from Washington". (www.oscarb1.blogspot.com)
(Segnaliamo questo commento di Adriana Cerretelli del Sole 24 Ore perche' ci sembra l'unico sensato nella miriade di piagnistei delle prefiche mediatiche di tutto il mondo occidentale)
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Il solito festival europeo di emozioni, deprecazione generale e retorica solidaristica. Da Madrid a Londra, da Parigi a Bruxelles lo sghembo quadrilatero del terrore jihadista semina morti e feriti a centinaia, si allarga e non promette remissione. Al contrario. Ma il vero problema non sono loro, i kamikaze dell'Islam e chi gli sta dietro, li organizza e finanzia nell'ombra. Il vero problema siamo noi, le nostre società dal pianto facile ma brevissimo di fronte all'orrore della macelleria a ripetizione, delle città rese invivibili dalla paura del nichilismo di pochi: dura poco però, il tempo di dimenticare aspettando un nuovo attentato e ricominciare il ciclo sterile della commozione mordi e fuggi, seguita dalla semi-inazione che comunque ancora non riesce a essere davvero comune.
Intendiamoci: nessuno può condannare l'Europa perché ama il suo pacifico tran-tran, la sua relativamente grassa e comoda way of life, una rassicurante normalità quotidiana. Ma nessuno può illudersi sul terrorismo islamico: non ha alcuna intenzione di abbandonarci a breve.
Dunque basta rimozioni collettive: ci fanno solo male e non risolvono niente. Si limitano a evocare lo spettro di Monaco. Naturalmente le polemiche si sprecano in queste ore.
Bruxelles è un simbolo dell'Europa, il cuore delle sue istituzioni e della Nato, città ferita anche con la complicità della propria "belgitude": 19 comuni, 19 corpi di polizia solo di recente ridotti a 6 ma malati di incomunicabilità tra loro, di connivenze con corruzione e malaffare, di patti indecenti con il mondo sommerso della delinquenza che spesso marcia indisturbata di conserva con le cellule del terrore. Bruxelles, la capitale europea che tra qualche anno rischia di ritrovarsi a maggioranza musulmana e già ospita il maggior numero di foreign fighters in un paese multilingue che perde identità nell'eccesso delle sue diversità. Del resto Bruxelles è anche la città da cui partì il kamikaze che il 9 settembre 2001, due giorni prima dell'attentato alle Torre Gemelle, uccise In Afghanistan Ahmad Massud, il Leone del Panshir eroe della resistenza anti-sovietica.
Belgio e Francia, due vicini che non si amano granchè: a Parigi le barzellette sull'ottusità belga circolano quanto quelle sui carabinieri in Italia. Anche per questo dialogo e collaborazione tra intelligence e polizie non funziona molto.
In Europa non va meglio. Qualche passo avanti ma stentato: la sfiducia reciproca tra strutture giudiziarie e di tutela della sicurezza domina a tutto vantaggio dei terroristi. Il famoso PNR, il registro europeo dei passeggeri aerei ritenuto, non solo dagli americani, uno strumento di lotta decisivo, non riesce a vedere la luce. Come una seria politica europea integrata sulla sicurezza comune. Come un' efficace politica estera nella cintura delle crisi circostanti.
Tutto vero in queste polemiche, tutti pezzi di analisi ineccepibili dell'ennesima emergenza europea irrisolta. Anche se si tende sempre a parlare degli attentati che purtroppo ci sono stati, mai di quelli scongiurati: oltre 300 nel 2015 secondo i dati Europol. Segno tangibile che, dopo tutto, c'è anche qualcosa che funziona nell'Unione.
Ma il problema di fondo è un altro. I terroristi non sono degli alieni ma i vicini della porta accanto, quasi sempre con in tasca il nostro stesso passaporto. Anche per questo spesso imprendibili. Per combattere questa "guerra civile" su scala europea, che ne sfrutta abilmente le libertà senza frontiere, sono fondamentali nell'immediato banche-dati comuni e sistematici scambi di informazioni tra servizi e forze dell'ordine nel segno della fiducia reciproca, tutta da creare, per prevenire e reprimere gli attentati.
Ma quegli strumenti non servono per risolverla alla radice. Per riuscirci, e tanto più ora che si misura con la grande ondata dei rifugiati in maggioranza musulmani e per non condannarsi in prospettiva al disastro, l'Europa deve trasformare l'attuale scontro in un costruttivo incontro di civiltà. Basta ghetti o periferie off-limits per cominciare ma basta anche con le favole: l'Islam smetta di definirsi pacifico e noi di far finta di crederci. I moderati musulmani escano allo scoperto isolando davvero i loro figli degeneri.
E noi europei finiamola di rifugiarci nel relativismo culturale che divide e non aiuta a creare ponti. Riscopriamo con coerenza il valore dei valori fondamentali della nostra identità. Solo intavolando un dialogo tra pari, nella convinzione dei meriti dei rispettivi patrimoni culturali, l'Europa potrà scommettere su un futuro diverso e più ricco di opportunità. Pacificazione e integrazione sono sfide di lunga lena ma si deve cominciare adesso per realizzarle dopodomani. L'alternativa per la società europea è rassegnarsi a sopportare la compagnia del terrorismo.
Oscar Bartoli
Washington DCIl solito festival europeo di emozioni, deprecazione generale e retorica solidaristica.
http://oscarb1.blogspot.it/2016/03/il-solito-festival-europeo-di-emozioni.html
ll solito festival europeo di emozioni, deprecazione generale e retorica solidaristica.
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Il solito festival europeo di emozioni, deprecazione generale e retorica solidaristica. Da Madrid a Londra, da Parigi a Bruxelles lo sghembo quadrilatero del terrore jihadista semina morti e feriti a centinaia, si allarga e non promette remissione. Al contrario. Ma il vero problema non sono loro, i kamikaze dell'Islam e chi gli sta dietro, li organizza e finanzia nell'ombra. Il vero problema siamo noi, le nostre società dal pianto facile ma brevissimo di fronte all'orrore della macelleria a ripetizione, delle città rese invivibili dalla paura del nichilismo di pochi: dura poco però, il tempo di dimenticare aspettando un nuovo attentato e ricominciare il ciclo sterile della commozione mordi e fuggi, seguita dalla semi-inazione che comunque ancora non riesce a essere davvero comune.
Intendiamoci: nessuno può condannare l'Europa perché ama il suo pacifico tran-tran, la sua relativamente grassa e comoda way of life, una rassicurante normalità quotidiana. Ma nessuno può illudersi sul terrorismo islamico: non ha alcuna intenzione di abbandonarci a breve.
Bruxelles è un simbolo dell'Europa, il cuore delle sue istituzioni e della Nato, città ferita anche con la complicità della propria "belgitude": 19 comuni, 19 corpi di polizia solo di recente ridotti a 6 ma malati di incomunicabilità tra loro, di connivenze con corruzione e malaffare, di patti indecenti con il mondo sommerso della delinquenza che spesso marcia indisturbata di conserva con le cellule del terrore. Bruxelles, la capitale europea che tra qualche anno rischia di ritrovarsi a maggioranza musulmana e già ospita il maggior numero di foreign fighters in un paese multilingue che perde identità nell'eccesso delle sue diversità. Del resto Bruxelles è anche la città da cui partì il kamikaze che il 9 settembre 2001, due giorni prima dell'attentato alle Torre Gemelle, uccise In Afghanistan Ahmad Massud, il Leone del Panshir eroe della resistenza anti-sovietica.
Belgio e Francia, due vicini che non si amano granchè: a Parigi le barzellette sull'ottusità belga circolano quanto quelle sui carabinieri in Italia. Anche per questo dialogo e collaborazione tra intelligence e polizie non funziona molto.
In Europa non va meglio. Qualche passo avanti ma stentato: la sfiducia reciproca tra strutture giudiziarie e di tutela della sicurezza domina a tutto vantaggio dei terroristi. Il famoso PNR, il registro europeo dei passeggeri aerei ritenuto, non solo dagli americani, uno strumento di lotta decisivo, non riesce a vedere la luce. Come una seria politica europea integrata sulla sicurezza comune. Come un' efficace politica estera nella cintura delle crisi circostanti.
Tutto vero in queste polemiche, tutti pezzi di analisi ineccepibili dell'ennesima emergenza europea irrisolta. Anche se si tende sempre a parlare degli attentati che purtroppo ci sono stati, mai di quelli scongiurati: oltre 300 nel 2015 secondo i dati Europol. Segno tangibile che, dopo tutto, c'è anche qualcosa che funziona nell'Unione.
Ma il problema di fondo è un altro. I terroristi non sono degli alieni ma i vicini della porta accanto, quasi sempre con in tasca il nostro stesso passaporto. Anche per questo spesso imprendibili. Per combattere questa "guerra civile" su scala europea, che ne sfrutta abilmente le libertà senza frontiere, sono fondamentali nell'immediato banche-dati comuni e sistematici scambi di informazioni tra servizi e forze dell'ordine nel segno della fiducia reciproca, tutta da creare, per prevenire e reprimere gli attentati.
Ma quegli strumenti non servono per risolverla alla radice. Per riuscirci, e tanto più ora che si misura con la grande ondata dei rifugiati in maggioranza musulmani e per non condannarsi in prospettiva al disastro, l'Europa deve trasformare l'attuale scontro in un costruttivo incontro di civiltà. Basta ghetti o periferie off-limits per cominciare ma basta anche con le favole: l'Islam smetta di definirsi pacifico e noi di far finta di crederci. I moderati musulmani escano allo scoperto isolando davvero i loro figli degeneri.
E noi europei finiamola di rifugiarci nel relativismo culturale che divide e non aiuta a creare ponti. Riscopriamo con coerenza il valore dei valori fondamentali della nostra identità. Solo intavolando un dialogo tra pari, nella convinzione dei meriti dei rispettivi patrimoni culturali, l'Europa potrà scommettere su un futuro diverso e più ricco di opportunità. Pacificazione e integrazione sono sfide di lunga lena ma si deve cominciare adesso per realizzarle dopodomani. L'alternativa per la società europea è rassegnarsi a sopportare la compagnia del terrorismo.