da Libero Quotidiano
"Anche nei romanzi, dove almeno ho un'idea di massima su dove voglio andare a parare, i personaggi, prendendo vita e personalità, fanno le cose di testa loro e spesso sorprendono anche me". Bastano poche parole per capire l'animo artistico di Gabriele Marconi, giornalista e scrittore romano di quelli che, consentiteci il termine, potrebbero essere definiti "a matrioska". Già, perché proprio come la bambola russa, l'arte di Marconi ha tante piccole sfaccettature, l'una dentro l'altra, che emergono e si amalgamano sia quando canta un brano di padre Canon Charles O'Neill, sia quando si cimenta in un poema, come Ritorno alla terra desolata (Idrovolante ed., 2015). Ma, siamo nel 2015: che senso ha un poema nell'era di internet? E la desolazione: cosa vuol dire terra desolata? "Mi sono ispirato – spiega l'autore - al poema di T.S. Eliot, non tanto per il tema quanto per il modo di parlarne. Pur non avendolo previsto al momento di scrivere, però, l'argomento nato dai versi si è avvicinato a quello dell'immenso poeta americano: appunto la desolazione del presente, che per lui era quella del primo Novecento. Per noi, un secolo dopo, è una palude ben più mortifera".
Perché un poema e non un romanzo?
"Non lo so. Mi è nato in mano. Di sicuro non avrei potuto scrivere una critica alla modernità in un romanzo: sai che palle! Di personaggi che si mettono a concionare su questo o su quello è piena la narrativa italiana contemporanea, e anche per questo in tanta parte è fatta di mattoni indigeribili. La suggestione dei versi, invece, aiuta a filtrare le considerazioni attraverso un velo di bellezza che rende leggeri anche i ragionamenti più complessi".
Critica alla modernità, ovvero?
"In apertura, tra i primi versi, viene richiamato il Manifesto del futurismo - Noi canteremo le locomotive dall'ampio petto - come estrema antitesi fra due concezioni di modernità. Ecco, quella che ci troviamo a vivere sta all'opposto di quella rivoluzionaria che avevano auspicato, seppur provocatoriamente, i futuristi. La nostra è modernità senza ardimento, enormità senza grandezza....
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"Ritorno alla terra desolata": Gabriele Marconi e il poema moderno che critica la modernità
"Anche nei romanzi, dove almeno ho un'idea di massima su dove voglio andare a parare, i personaggi, prendendo vita e personalità, fanno le cose di testa loro e spesso sorprendono anche me". Bastano poche parole per capire l'animo artistico di Gabriele Marconi, giornalista e scrittore romano di quelli che, consentiteci il termine, potrebbero essere definiti "a matrioska". Già, perché proprio come la bambola russa, l'arte di Marconi ha tante piccole sfaccettature, l'una dentro l'altra, che emergono e si amalgamano sia quando canta un brano di padre Canon Charles O'Neill, sia quando si cimenta in un poema, come Ritorno alla terra desolata (Idrovolante ed., 2015). Ma, siamo nel 2015: che senso ha un poema nell'era di internet? E la desolazione: cosa vuol dire terra desolata? "Mi sono ispirato – spiega l'autore - al poema di T.S. Eliot, non tanto per il tema quanto per il modo di parlarne. Pur non avendolo previsto al momento di scrivere, però, l'argomento nato dai versi si è avvicinato a quello dell'immenso poeta americano: appunto la desolazione del presente, che per lui era quella del primo Novecento. Per noi, un secolo dopo, è una palude ben più mortifera".
Perché un poema e non un romanzo?
"Non lo so. Mi è nato in mano. Di sicuro non avrei potuto scrivere una critica alla modernità in un romanzo: sai che palle! Di personaggi che si mettono a concionare su questo o su quello è piena la narrativa italiana contemporanea, e anche per questo in tanta parte è fatta di mattoni indigeribili. La suggestione dei versi, invece, aiuta a filtrare le considerazioni attraverso un velo di bellezza che rende leggeri anche i ragionamenti più complessi".
Critica alla modernità, ovvero?
"In apertura, tra i primi versi, viene richiamato il Manifesto del futurismo - Noi canteremo le locomotive dall'ampio petto - come estrema antitesi fra due concezioni di modernità. Ecco, quella che ci troviamo a vivere sta all'opposto di quella rivoluzionaria che avevano auspicato, seppur provocatoriamente, i futuristi. La nostra è modernità senza ardimento, enormità senza grandezza....
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