Marinetti, Ungaretti... e la prima guerra mondiale (anniversario 100)

In guerra con poesie, articoli e futurismo

IL TEMPO by MASSIMILIANO LENZI

Cento anni fa l'inizio del grande conflitto affrontato con diversi generi da tre protagonisti della storia

  • ..... tre modi di raccontare la guerra. L'anno è il 1915 quando, dopo un lungo dibattere tra interventismo e neutralismo, l'Italia entra nel I conflitto mondiale. Al fronte, in quell'anno, arriveranno tre uomini, tra loro diversi, un giornalista, un poeta ed un futurista, uniti da un convincimento: l'intervento dell'Italia nella Grande Guerra. I tre avranno destini diversissimi, il giornalista si farà Duce, per poi morire tragicamente dopo aver portato l'Italia al fascismo, il poeta rimarrà poeta ed il futurista invecchierà, inseguendo l'alito vitale di una giovinezza (il mito futurista) che se n'era andata. Eppure questi tre uomini, ognuno con il proprio destino, di quella guerra oltreché il coraggio di averla combattuta ci han lasciato tre modi di narrarla. Mussolini, da giornalista e da soldato semplice dell'esercito italiano, partito per il fronte nel settembre del 1915, già dal dicembre di quello stesso anno pubblicherà sul proprio giornale, "Il Popolo d'Italia" i taccuini dalla trincea, corrispondenze in tempo reale dai luoghi di battaglia (che in seguito saranno raccolte nel volume "Il mio diario di guerra"). 16 settembre 1915, scrive Mussolini: «Mattinata fredda. Sull'Isonzo è un velo di nebbia. La notizia del mio arrivo a Caporetto si è diffusa. Discorsi e impressioni. Due soldati d'artiglieria. Accidenti! A sentirli, il nostro esercito è quasi interamente distrutto; l'Inghilterra dorme; la Francia è spezzata; la Russia finita. Discorsi odiosi e imbecilli che io ho sentito ripetere tante volte. I due compari - che non sono mai stati al fuoco - la piantano in tempo giusto per evitare una energica scazzottatura. Ma ecco tre bolognesi. Il loro morale è infinitamente migliore». Il registro di Mussolini cambia poco tempo dopo. «Tramonto. Il caporale Claudio Tommei - romano - mi offre un passamontagna e un numero di Rugantino. Grazie. Quando, in Italia, si parlava di trincee, il pensiero correva a quelle inglesi, scavate nelle pianure basse di Fiandra e munite di tutto il comfort, non escluso - si dice - il termosifone. Ma le nostre, qui, a 2000 metri sul livello del mare, sono ben diverse. Si tratta di buche scavate fra le rocce, di ripari esposti alle intemperie. (..) Il vento della sera porta in alto il freddo e il fetore dei cadaveri dimenticati». I cadaveri, i morti, compaiono ora le tragedie della guerra, nella sua cruda realtà. «Ho sentito una ventata violenta, seguìta da un grandinare di schegge. Esco. Qualcuno rantola. Si grida: Portaferiti! Portaferiti! Sotto al mio ricovero ci sono due feriti che sembrano gravissimi. Un grosso macigno è letteralmente innaffiato di sangue. (..) Le barelle! Le barelle! (...) Tenente, mi abbracci! Per me è finita! Vedo il tenente Morrigoni, cogli occhi luccicanti di lacrime. Era tanto bravo e tanto buono! Lo Janarelli sembra dormire. Solo attorno alla bocca c'è una grossa rosa di sangue».
ADVERTISEMENT
Adesso la morte si è presa il centro della scena come sarà nelle poesie di Giuseppe Ungaretti, disperatamente legate ad un istinto di vita. Rientrato in Italia da Parigi allo scoppio del conflitto, Ungaretti si arruola volontario nel maggio del 1915. I mesi al fronte gli faranno sgorgare fuori poesie struggenti, brevi, uno stile narrativo indelebile. Pubblicate nel 1916, grazie all'intervento del giovane ufficiale Ettore Serra, nella raccolta "Il Porto sepolto", le poesie di guerra di Ungaretti confluiranno poi tre anni dopo in "Allegria di naufragi" (nel 1923 ne uscirà una edizione con prefazione di Benito Mussolini). Dentro vita e morte, trincea e rinascita. «Una intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato / con la sua bocca digrignata / volta al plenilunio / con la congestione / delle sue mani / penetrata/ nel mio silenzio/ ho scritto/ lettere piene d'amore/ Non sono mai stato / tanto attaccato / alla vita».
Resta Marinetti. Quando l'Italia entra in guerra, si arruola volontario (prima nel battaglione di ciclisti, poi negli Alpini). Ferito all'inguine, detterà, in convalescenza, un manuale su "Come si seducono le donne" prima di tornarsene al fronte e partecipare alla rotta di Caporetto ed alla trionfale avanzata di Vittorio Veneto alla guida di un autoblindo Lancia 1Z. Il libro di Marinetti comincia così: «Alla granata austriaca che, irritata più di cento precedenti per non aver potuto spegnere le mie vulcaniche schiiiaantaanti bombarde di Zagora, mi adornò faccia cosce gambe dei soli tatuaggi degni di noi futuristi, barbari civilizzatissimi che combattiamo per il rinnovamento ingigantimento del genio italiano». Oggi, un secolo dopo lo scoppio della Grande Guerra, nell'Italia che cerca fuor da sé i propri miti per il Pantheon, volenti o nolenti, dobbiamo riconoscere che il MUM, Mussolini, Ungaretti e Marinetti, fa parte della nostra storia e della biografia degli italiani.
Massimiliano Lenzi