recensione di Daniela Rispoli
Birdman
USA 2014
Regia: Alejandro González Iñárritu
Un attore nella morsa dei rimorsi di una profonda crisi
d’identità al culmine di un’esistenza scandita tra l’essere e l’essere
stato. Uno snodo di vicende tra la voce
di Riggan che è, e la voce off di Birdman che è stato. Una voce, quest’ultima,
roca e polemica e che esordisce su un’inquadratura dello stesso Riggan di spalle
che levita come il migliore dei fachiri
lamentando odore di palle sudate (odore di Broadway per intenderci, o
meglio quell’angolo che Riggan riesce a ritagliarsi di Broadway), non
paragonabile di certo al profumo di dollari di Hollywood di cui Birdman è stato
un’icona che ha radunando un esercito di seguaci innamorati di un mucchio di
penne. L’ansiolitica voglia di ribalta di Riggan rifiuta, o meglio condanna la
frivolezza del personaggio Birdman e di quello che ha rappresentato, e tra la
fantasia (di levarselo di torno) e la realtà (di fallire nell’impresa di
dimenticarlo), prova a tutti i costi a dimostrare che non può essere una
maschera di piume e un becco, che non può essere un uomo-uccello che si libra
in cielo a decretare la grandezza di un attore. Un super eroe, l’ennesimo
inventato da quella macchina delle meraviglie che è il cinema statunitense
d’effetto e spettacolarità; una maschera che attira perché ha il volto nascosto
dalle fattezze di un volatile (emulando quello più famoso, quello nero, gotico,
col mantello e la super macchina, interpretato dallo stesso Riggan/Keaton),
attira perché ha un migliaio di visualizzazioni sul suo canale youtube, orde
scatenate di followers su twitter o una
pagina facebook con almeno un milione di likes. Può definirsi ,dunque, serietà
questa per un attore? No di certo. E allora basta uccelli che volteggiano in
aria, basta esplosioni, basta palle di fuoco volanti e via del buon vecchio
teatro ripercorso e indagato nelle viscere da un persistente perfetto
piano-sequenza, fra quei corridoi e quelle stanze
popolate da figlie strambe ma al passo coi tempi, da attrici che, stufe degli
uomini sbruffoni e incapaci di tenere a bada un’erezione, si lasciano
intenerire da un lieve tocco saffico. Uno sfondo di teatro, vita reale, e
cinema. Mondi paralleli quello del grande schermo e quello del palcoscenico che
si intersecano proponendo un dialogo interessante e confondente tra il vecchio
e il nuovo, tra la follia e l’equilibrio, tra l’essere e l’interpretare. Un
Edward Norton irresistibile, un Michael Keaton che fa sentire tutta la crisi
del Riggan di turno, e anche di più. Una Emma Stone forse più presente di Naomi
Watts. Da Oscar? L’Academy Award dice di sì.
DA.RI.
Bologna 19 febbraio 2015