IL CAPRICCIO DI COSTANTINO

Il capriccio di un potente ha certo un valore superiore a quello di un comune mortale. Se l'Impero Romano divenne cristiano lo si deve proprio ad un caso del genere. Se poi il capriccio è di quelli improntati alla pietas il gioco è fatto. Come si suol dire, Dio si serve delle gambe degli uomini! Un libro dello storico francese Paul Veyne, pubblicato qualche anno fa, "Quando il mondo divenne cristiano" per i tipi di Albin Michel, ce lo spiega in termini più che convincenti. Che cos'è, dunque la sincerità religiosa per uno stratega come Costantino il Grande, convinto che la sua vocazione a dominare il mondo sia fondata sulla sua felicitas e che questa sua disposizione alla vittoria dipenda dalla sua pietas, appunto, verso la divinità? L'Atletico Imperatore avrà modo di comportarsi, in sostanza, come gli altri statisti della Roma antica, fiutando l'opportunità, se pur sincera, di avere riguardo per l'interesse della cosa pubblica. Certo, Costantino non dubitava della superiorità della nuova verità sul paganesimo. Il coraggio di andare contro corrente, con il 90% di popolazione pagana fu fatto rivoluzionario, anche alla luce della constatazione della banalità di molti dei culti in vigore, oltre che della fine dello spirito propulsivo del paganesimo storico anche sul piano sociale e civile. In fondo il cristianesimo avrebbe ridato solidità ad un organismo politico in crisi, anzi in declino. Politique d'abord, dunque, nel segno del tradizionale pragmatismo dello Stato Romano di sempre, anche in questa circostanza, se pur rivisitato nel nome e nella prospettiva dei diversi orizzonti stoici. Né, in tal caso, la conversione dell'Impero Romano avviene con la forza. La stessa Chiesa dà una mano al Monarca, con il prestigio della sua influenza, e l'Imperatore si pone come interlocutore privilegiato, autentico braccio esecutivo della spiritualità. L'effimero tentativo restauratore di Giuliano l'Apostata, che in analoga maniera avrebbe a sua volta desiderato la resurrezione del paganesimo aggiornato ai tempi, non riuscì ad arrestare, nonostante gli inevitabili compromessi, il processo di profonda cristianizzazione della società. Le stesse classi intellettuali e gli opinion leaders dell'epoca coglievano la modernità e la portata razionale del vento rinnovatore del messaggio evangelico. Dal conformismo si passava ad una più riflessiva e meditata adesione alla religione di Cristo. La frase di Giuliano morente, divenuta celebre, "Hai vinto Galileo!" sancisce la fine del mondo antico. Il titolo del libro di Veyne esprime a pieno questa realtà. L'essenza del sentimento religioso, la natura dell'antisemitismo cristiano comparato all'antigiudaismo pagano, con cui gli Ebrei incontravano il disprezzo dei pagani, perché considerati estranei alla loro way of life, ma anche quello dei cristiani, perché giudicati dei fratelli mancati, i rapporti tra il potere e le avanguardie culturali, e infine un capitolo di grande concretezza dedicato a quelle che l'Autore definisce le illusorie radici cristiane d'Europa: così scorre la narrazione di Veyne e ci affascina per il suo scetticismo nei confronti del senso comune che ci fornsce un'immagine più falsa che banale della Storia.
Casalino Pierluigi, 25.01.2015