Ferrara, elogio del Duca Rosso, dopo di lui il ...terremoto...

NUOVA FERRARA

Soffritti, 16 anni da sindaco E pensa ancora al governo

«A Ferrara c'era separazione tra politica ed economia, io ho rotto lo schema»

E Graci? «Non l'ho portato io».


«Io avrò anche commesso diecimila errori, ma a me interessavano le cose per questa città. Il resto è aria fritta, parole, e noi ne abbiamo spese tante, per tanti anni». Sedici quelli trascorsi da sindaco da Roberto Soffritti. Rivendicati, confessati, sussurrati in risposta alle domande di Stefano Scansani (direttore della Nuova Ferrara), Sergio Gessi (Ferraraitalia.it), Stefano Lolli (Il Resto del Carlino), Stefano Ravaioli (Telestense) e Marco Zavagli (Estense.com).
Dal frullatore dei ricordi riemerge un Duca Rosso in realtà "comunista aperto, socialdemocratico", come da autodefinizione. Anni '80: il "patto per lo sviluppo", il compromesso storico in salsa estense con la Dc. Soffritti cita il Togliatti dei ceti medi e dell'Emilia rossa. «Una società – dice l'ex primo cittadino – non può funzionare se c'è separazione tra politica e mondo produttivo, e qui era fortissima. Volevo rompere questo schema e sono riuscito a farlo, poi forse ci siamo spinti molto avanti. Cristofori era sottosegretario alla presidenza del consiglio, cosa che ci diede dei vantaggi. Io ho portato Franceschini in giunta. E' grazie a loro se abbiamo avuto i finanziamenti del Progetto Mura», un pezzo significativo della Ferrara città d'arte e cultura, il gioiello dell'era soffrittiana. All'inizio però non fu facile. «All'epoca delle prime mostre ai Diamanti – rievoca l'ex sindaco – ci criticavano perché in Ercole d'Este c'era troppa gente, poi hanno costruito sette alberghi. Ancora critiche per la rinascita del Palio: l'aveva fatto Balbo, mi dicevano, ma tirai avanti. Poi è arrivato anche Abbado».
L'epica ha i suoi inciampi e una cronaca che ancora oggi ci racconta di uno scheletro: Palazzo degli Specchi. Soffritti nega qualsiasi responsabilità: «L'ha voluto qualcuno che sapeva perché farlo, che conosceva chi l'avrebbe acquistato e poi affittato. Non ho portato Graci a Ferrara: è una delle divertenti e continue divagazioni. E' una questione romana, frutto della collaborazione tra Inps e istituti finanziari dello Stato. Chi conosceva le cose era Violante: gli parlai, era presidente dell'Antimafia. Io avevo dei nemici interni e li ho tuttora. Scaduto il mio mandato, c'era il bisogno di demolire l'immagine di un comunista un po' strano per essere comunista». Altra leggenda: che i terreni su cui venne costruito l'ospedale di Cona fossero suoi. «Macché – ribatte Soffritti – e non ho mai volato assieme all'architetto Cervellati per vederli dall'alto, come si disse. Ma magari qualcuno dicesse apertamente che erano di mia moglie: mi dovrebbero indennizzare, come è successo alla Comi per il Palaspecchi». Gli stretti rapporti con Donigaglia erano però reali. «Mai avuto un occhio di riguardo per la Coopcostruttori: lavorava con tutti, era una grande impresa – spiega l'ex sindaco -. Imposi di prendere la Spal? No, impossibile ordinare qualcosa a Donigaglia, non è il tipo».
E Tagliani? "Apprezzo il suo pragmatismo, gli parlo spesso. Può farcela a mutare la mentalità di Ferrara: quando qui si cambia, c'è sempre una fase di rigetto. Certo ci sono meno risorse che in passato. Se gli ho chiesto di entrare in giunta? Beh, è un po' eccessivo». Strigliate al suo ormai ex partito, il Pdci. «Entrai quando ruppero con Rifondazione, su una linea di governo. Adesso non è più quello di prima: quelli sono su un altro pianeta». Il suo invece è un pianeta neosocialdemocratico, quasi democratico (in senso Pd), da anticipatore con il tandem Soffritti-Cristofori delle (molto successive alla sua epoca) larghe intese? L'interessato sorride e abbozza.