TRENTINO LIBERO
Trento, 8 settembre 2014. – di Luigi Tallarico *
Trento, 8 settembre 2014. – di Luigi Tallarico *
Nello storico Guggenheim museum di
New York, progettato dall'arch. Frank Lloyd Wright, è in svolgimento una
articolata rassegna che raffigura il linguaggio, la comunicazione e la
rappresentazione dello "spirito rivoluzionario di Filippo Tommaso
Marinetti, padre del Futurismo" (1). La curatrice dell'esposizione,
l'esperta di avanguardie europee Vivien M. Green, ha confermato che il
futurismo, negli "svariati contesti della creatività dell'arte e del
vivere quotidiano", ha mirato "alla Reconstruction the Universe" e
attraverso l'esposizione di oltre 300 opere ha presentato all'America e
al mondo gli artisti, comunicatori e designers della nostra avanguardia,
tra cui F. T. Marinetti, Benedetta Cappa Marinetti e Umberto Boccioni,
Giacomo Balla, Carlo Carrà ed Enrico Prampolini, Gino Severini, Antonio
Sant'Elia, Luigi Russolo e Anton Giulio Bragaglia, nonché Fortunato
Depero, il futurista vissuto a New York come designer pubblicitario a
partire dal 1928 e del quale sono esposte 50 opere in Soho, a cura del
"Center for Italian modern art".
Si segnala a tal proposito che le
esposizioni sono state sponsorizzate dalla marca italiana Lavazza (e la
notizia fa sperare, in questo momento di crisi, nella ripresa
organizzativa e progettuale delle imprese italiane), ma soprattutto ci
preme sottolineare che la scelta e le motivazioni del Guggenheim
restituiscono ai futuristi un'autonomia e le diversità creative finora
sottaciute, perfino dalle rassegne della Madrepatria, se si pensa che a
Venezia (1986) il movimento marinettiano è stato considerato uno dei
tanti "futurismi" superstiti di tutto il mondo, mentre a Roma , nella
mostra del centenario, la koinè stessa della nostra avanguardia è stata
sostituita dalla visione dei cubisti di oltralpe e dei cubo-futuristi
internazionali del centre Pompidou di Parigi.
In effetti, la rassegna di New York,
attraverso le affermazioni della curatrice Vivien M. Green, ha attestato
che "sono queste cose", ossia il linguaggio multimediale e la visione
del mondo, "che rendono il futurismo un'avanguardia veramente diversa
rispetto alle altre avanguardie storiche", sono esse che ribadiscono
come Marinetti (testualmente) "lanciando un manifesto, ha inventato
un'avanguardia", una avantgarde insieme rivoluzionaria e costruttiva,
aperta ai "fenomeni intuitivi" e ai "fenomeni dell'intelligenza logica",
ai richiami dell'etica e della ideologia, della scienza e della tecnica
(cfr. A. Saccoccio, introduzione al convegno internazionale sul
Futurismo, Centro culturale "Elsa Morante", Roma 2013). Per confermare
la concordantia oppositorum marinettiana, occorre richiamarci a
Zarathustra, al quale Nietzsche fa dire che il creare nega il già fatto:
"Io sono quella cosa – ribatte Zarathustra – che sempre deve superare
se stessa".
Invero il futurismo, nella fase
destruens, era consapevole che per creare occorreva negare e superare
gli strumenti stilistici del "già stato", che offrivano e offrono (da
noi, possiamo dire da sempre) un "classicismo di ritorno", per cui
Marinetti col suo sonoro francese e il tono da Chanson de geste si è
opposto a quella società legata al "piede di casa" e abituata a vivere
di rendita del proprio passato, la cui gloria era peraltro spenta da
oltre due secoli, nonché ad una classe dirigente incapace di credere in
se stessa e nella "bellezza nuova" della modernità e della conquista.
Del resto coloro che si erano abbandonati all'"immobilità pensosa,
l'estasi e il sonno", diceva Marinetti, "non erano in condizione di
affrontare l'absolument moderne e darsi un coraggio impraticato in
quell'"Italietta", in cui lo stesso Presidente del Consiglio aveva
considerato i futuristi combattenti "figli di famiglia più stupidi, dei
quali non si sa cosa fare". Saranno quei "figli di famiglia", con
Marinetti e D'Annunzio, Boccioni e Balla, a risvegliare nelle piazze la
nuova Italia, nella consapevolezza che solo i giovani e gli "artisti,
col fuoco sacro della loro sensibilità" e col "bisogno di sentirsi
centro", avrebbero potuto "rinnovare socialmente, eticamente ed
esteticamente la nazione e prepararla a vivere in un'epoca futurista".
Dall'ordine formale dell'esposizione, si
deduce che il futurismo, con continuità creativa, ha intuito i passaggi
che vanno dal "senso del quartiere" al "senso del mondo" e, in sintonia
col nuovo pensiero italiano, ha evitato al movimento di non soccombere
sotto il persistente "male francese", pervaso dal virtuosismo estetico.
Senonchè il richiamo alle categorie ritenute estranee all'arte, ha
indispettito il pittore e critico Albert Gleizes, il quale in "Cubismo e
tradizione" (rivista "Montjon!", 1, Parigi 10 febbraio 1913, p. 3) ha
sostenuto che "la pittura non deve vivere di elementi ad essa estranei, è
bene che eviti compromessi con la letteratura, la musica, la filosofia,
la scienza". Anche se a difendere Gleizes troviamo un Soffici
"cubista-classico" disponibile a strapazzare le "gelide turpitudini
delle Sibille e dei Profeti" del "paesano" Michelangelo (A. Soffici,
"Cubismo e altre" in Lacerba, Einaudi, 1961), invero i cubisti restano
legati alla visione estetica pitturocentrica e alla pratica del blocco
chiaroscurale, ostili all'aria della medialità spaziale, non
considerando che il futurismo, in quanto proteso verso la vita moderna,
non può non nutrirsi delle diverse categorie disciplinari (cfr. G. De
Turris, "Futurismo e fantascienza", Mondadori, 1980), in quanto
correlate allo stesso pensiero e congiunte alla stessa vitalità (2).
Ossia a quel pensiero e a quella vitalità che sono stati indispensabili
alla scultura detta il "Camminatore" (da Boccioni intitolata "Forme
uniche della continuità nello spazio"), in quanto il suo organismo "non è
un fatto concluso e bloccato", ma "cammina", ha esclamato lo storico
Roberto Longhi, anticipando quello che oggi sottolinea il Guggenheim e
che cioè il futurismo è unità insieme plastica e dinamica e che
rappresenta una diversità-novità in anticipo sul tempo a venire.
D'altra parte "l'infinito succedersi della vita" di una scultura, in un secolo così dinamico – ha osservato Boccioni – non si compie privilegiando uno dei momenti rappresentativi dell'estetica e della fenomenologia, bensì mantenendo la stessa complessità inventiva nella "continuità dello spazio". Infatti Boccioni, contrariamente alla "fissità" dell'avanguardia cubista, non blocca in se stesso l'oggetto, né "isola l'elemento che lo nutre: la vita", dal momento che la vita (la vie di cui parlava Rimbaud) è quella linfa creativa che interpreta il processo del divenire e l'energia del vivente. Aveva più volte affermato Marinetti che il futurismo rappresenta "l'amore del novo": è "la parola d'ordine di tutti gli inventori", ossia di quei tecnici ideatori, consapevoli che non si scopre... "il già fatto".
D'altra parte "l'infinito succedersi della vita" di una scultura, in un secolo così dinamico – ha osservato Boccioni – non si compie privilegiando uno dei momenti rappresentativi dell'estetica e della fenomenologia, bensì mantenendo la stessa complessità inventiva nella "continuità dello spazio". Infatti Boccioni, contrariamente alla "fissità" dell'avanguardia cubista, non blocca in se stesso l'oggetto, né "isola l'elemento che lo nutre: la vita", dal momento che la vita (la vie di cui parlava Rimbaud) è quella linfa creativa che interpreta il processo del divenire e l'energia del vivente. Aveva più volte affermato Marinetti che il futurismo rappresenta "l'amore del novo": è "la parola d'ordine di tutti gli inventori", ossia di quei tecnici ideatori, consapevoli che non si scopre... "il già fatto".
Oltretutto il "ritorno all'indietro"
comporta l'identificazione di un ordine storico e un codice di lettura
estranei all'intuizione e all'ideazione del moderno. Senza considerare
che gli influssi decisivi della modernità, accumulati dalla tradizione
che passa, non possono non accettare il passaggio, segnalato dal termine
latino di traditio, se non vogliono subire quella "sosta" o, peggio,
retromarcia che nega lo sviluppo del nuovo. A tal proposito occorre
rilevare che il cubista Picasso, col suo "ritorno all'indietro", in quel
classicismo che avrebbe dovuto continuare-superare il mito
avanguardistico delle "Damigelle di Avignone", non ha confermato di
avere interpretato un nuovo linguaggio dell'arte. Dopo pochi anni
dall'esposizione nel salone d'Autunno del "segnacolo di tutte le
avanguardie", la critica (T. Milton, "Picasso", Rusconi, 1981) ha dovuto
constatare che il "nuovo approccio ai soggetti classici" ha indotto
Picasso ad esprimere una semplice e inadeguata "innovazione di ordine
formale", lasciando oltretutto in sospeso se il "ritorno all'indietro"
sia dipeso dalla teoresi classicistica del cubismo o dalla abituale
prassi trasformistica dell'autore che ha consentito il falso titolo di
"Guernica" (L. Tallarico, "Guernica di Picasso, fu vera gloria?" in
Secolo d'Italia del 16.1.2004).
In verità, la rassegna del Guggenheim ha
riaperto il dibattito, non soltanto sulla continuità in sede storica
della teoresi-prassi del movimento marinettiano (1909-1944), ma
sull'attualità e modernità di un' avantgarde che - guardando al futuro,
anche dopo la morte di Martinetti - mantiene aperto il discorso con
l'ideario delle nuove generazioni (3). E questo perché, nel
consolidamento dell'eredità trasmessa ai nostri tempi e a quelli che
verranno, il fondatore del futurismo non ha usato "due dominii distinti e
nettamente separati tra passato e futuro", ma ha dato "spazio anche
all'azione, all'intuizione, al fenomeno analogico". Sostiene infatti
Riccardo Campa, docente dell'Università di Cracovia, che per il
consolidamento dell'eredità, il futurismo non ha "gettato a mare il
pensiero razionale, l'analisi logica, la riflessione ponderata, le forme
tipiche del ragionamento filosofico", ma ha "lasciato ad esse tutto il
campo". Del resto "ogni spirito creatore, ha potuto constatare, durante
il lavoro creativo, che i fenomeni intuitivi si fondono ai fenomeni
dell'intelligenza logica", per cui il fondatore del futurismo, nella
fusione delle intuizioni e delle esperienze tecnologiche, del lirismo
essenziale e delle analogie senza fili, ha introdotto "su parecchie
linee parallele" le "catene dei colori, suoni, odori, rumori, pesi e
spessori, praticate dai poeti, ossessionando pittori, scultori, presto i
mass-media" (R. Campa, "Trattato di filosofia futurista", opera
citata).
Gli elementi fondanti di questa
"profezia", come è stata chiamata (T. Iacopetta, "F. T. Marinetti
profeta del nuovo", edizioni Calabria mia, 2004), sono stati confermati
da Balla e Depero, che nel 1915, nel manifesto "Ricostruzione futurista
dell'Universo", hanno sostenuto che "noi futuristi vogliamo realizzare
questa fusione totale per ricostruire l'universo" (cfr. Biennale di
Venezia del 1978 e rassegna di Torino, Mole Antonelliana del 1980).
L'osmosi richiama le intuizioni delle parole in libertà e la fusione dei
contrari, dirette "a dare l'espressione dinamica, simultanea, plastica,
rumoristica della vibrazione universale" di questa realtà, come recita
il manifesto di Balla e Depero. Per cui il nuovo complesso plastico non
può che mirare alla sinestesi e all'opera totale, ricostruendo
simultaneamente l'universo in termine di "astratto, dinamico,
trasparentissimo, coloratissimo, luminoso", nonché "autonomo,
trasformabile, cromatico, volatile, odoroso, rumoreggiante,
scoppiettante" (4).
Nelle opere di Giacomo Balla viene
rappresentato questo passaggio, insieme sinestetico e sinergetico, che
guarda alla realtà con un'ottica diversa rispetto all'impressionismo e
al praticato divisionismo torinese e romano delle origini, perciò in
grado di penetrare e rivitalizzare la percezione dell'oggetto. Invero
Balla - che a Roma aveva fatto da "ostetrico" al talento dei giovani
"irregolari", - ha evitato l'equivoco in cui erano calati i
divisionisti, circa il governo del chiaroscuro, che appesantisce i
valori cromatici e spaziali, mantenendo il rapporto segno-luce e il
colore-spazio attraverso una scomposizione estrosa e lucida. La sua
pennellata è frenetica e breve, mentre il tono è lieve e senza peso, per
cui ha eliminato il pesante bozzettismo che imperversava nelle varie
scuole della penisola, legate ad una natura di impianto insieme verista
nei contenuti e minimalista nella forma.
In effetti nei primi anni del secolo,
grazie alle intuizioni di Balla e all'attività dei futuristi, l'ambiente
romano e italiano non è più "un deserto culturale", nonostante il
diffuso convincimento dei neo-accademici e dei franco-dipendenti
nostrani (cfr. R. Barilli, "La sinfonia polifonica di Severini", Electa,
1983). Sicché il divisionismo romano, passato attraverso l'esperienza
del "Pertichino" di Balla del 1898, prima di conoscere la pittura
francese e successivamente di "Lampada ad arco" del 1904, ha mutato una
direttiva di tendenza, da fenomenica in un senso dinamico, rispetto alla
scuola di Parigi. E così Balla, pur guardando al bagno della luce
naturale impressionista, ha trasformato il cosmo in motivo scompositivo e
lirico, presto in un contrasto simultaneo, per cui Balla raggiungerà
quella "maggiore intensità e complessità artistica", come poi dirà
Boccioni.
Anche se non sempre il dinamismo
plastico di Balla viene inteso come totalità degli elementi temporali e
fisici, in effetti Balla anticipa il concetto nuovo della luce nello
spazio: "strumento nobile per un'analisi dinamica e non statica,
dialettica e plurale, quasi cellulare e microstrutturale, lucidamente
conclusiva" (E. Crispolti, "Storia e critica del Futurismo", Laterza,
1986), soprattutto propulsiva del suo futurismo bipolare, rispetto a
Boccioni. Ed è nel pieno fervore del futurismo che Balla, dopo le
scomposizioni crono-fotografiche, affida alle sue forme l'espressione
astratta del dinamismo, con tono leggero e scorrevole, con sempre nuove
intuizioni e fantasie, rifiutando così la staticità classica del cubismo
e superando la bidimensionalità di superficie dell'astrattismo storico,
sicchè Balla diviene, negli anni del primo acquerello astratto
kandinskiano, uno tra i più originali pionieri della non figurazione
europea.
Nel 1914, mentre l'artista torinese
celebra i suoi vent'anni romani, l'ambiente futurista si elettrizza, e
il generico ideologismo si tramuta in politica d'intervento, assumendo
caratteri più concreti, secondo il rilievo dello storico De Felice (cfr.
"Mussolini il rivoluzionario", Einaudi, 1965). Era arrivato il momento
di completare l'unità sociale e politica del popolo italiano e,
attraverso l'articolazione delle architetture fatiscenti, come
social-media, delle "Periferie" di Mario Sironi, Balla "identifica la
sua pittura con la geografia della guerra"(M. Calvesi), imprimendo un
carattere ideologico ai problemi spaziali e lirici della nuova nazione.
Da "Maestro" del gruppo futurista romano, resterà attratto dal dinamismo
plastico di Boccioni e seguendone l'insegnamento, integrerà
simultaneamente la struttura, lo stato d'animo e lo spazio, specialmente
al tempo dell'interventismo, durante il quale le sue opere si sono
popolate di voci e di suoni, mentre lo sventolio delle bandiere
animavano lo spazio intorno all'eclettico Altare della Patria. Nel
dopoguerra, da pittore lirico, Balla non trascurerà l' information
tecnology e approfondendo la tecnica simultaneista di colori-suoni-odori
eseguirà l'accostamento, ritenuto "irriverente", tra una scultura di
Michelangelo e il suo "ferro da stiro, bianco e metallico, liscio e
rilucente, pulitissimo".
In questo contesto, Balla affronta
l'altro aspetto dell'ossimoro boccioniano, legato al motivo di fondo del
futurismo primigenio, ossia la dinamicità della struttura, a conferma
che lo spostamento temporale degli oggetti non implica uno sprint per i
momenti esteriori e testuali dell'unità, come praticato in "Dinamismo di
un cane al guinzaglio" (1912) e in "Ragazza che corre sul balcone"
(1912). Sicchè, dopo avere fermato la visione delle cose, con
riferimento all'esperienza crono-fotografica consumata in Germania,
realizza nel 1913 l'importante opera simultaneista "Velocità astratta e
rumore di un'auto": esposta a New York, evidenzia l'impeto rilucente di
un bolide in corsa e che solleva nembi di polvere e flussi di
odori-suoni-colori, raggiungendo una sintesi di conoscenza dinamica che
ha l'importanza di superare ogni episodicità meccanicistica.
Negli anni che precedono il primo
conflitto mondiale si dibatteva in Europa – con la revisione degli stili
architettonici – il "problema di rimaneggiamento lineare" della
sagoma-casa ("l'ornamento è un delitto", sosteneva Adolf Loos), in
contrasto con la visione decorativistica ed estetizzante dei
secessionisti e che tendeva ad estraniare la facciata dell'edificio da
ogni sviluppo di ordine sociale e tecnologico. Il manifesto
dell'architettura futurista, firmato da Sant'Elia, ha in effetti
interpretato la "ragione di essere della vita moderna", in quanto la
casa non è vista in funzione dell'animazione di facciata, ma per un
bisogno stereometrico, dal momento che è l'esterno (ossia la strada) che
esercita (e misura) il moto-collegamento verso l'interno. Come lo
stesso Sant'Elia ha precisato nel manifesto, non si tratta della
"ripresa di culto barocco dello spettacolo che riconosciamo nel disegno
della Città Nuova, ma un nuovissimo culto, per il movimento meccanico,
come materia prima di un processo di collegamento "esterno-interno". Si
tratta di un'esigenza dinamica non soggetta alla "legge della continuità
storica", perché la casa "deve essere nuova come nuovo è il nostro
stato d'animo". Sicché la "città a più livelli" (cfr. P. Portoghesi, "Il
linguaggio di Sant'Elia", in Controspazio, maggio 1971, De Donato) è
portata a "sfruttare il movimento reale dei veicoli, degli ascensori,
persino del fumo e del vento", in quanto "l'interesse dell' architetto è
rivolto, non tanto all'animazione della sua architettura - che anzi è
sempre deserta di personaggi e oggetti casuali - quanto alla capacità di
programmare e utilizzare plasticamente movimenti ordinati e
prevedibili" .
D'altra parte, ai contestatori della
Città Nuova di Sant'Elia, in quanto di impianto cartaceo, va suggerito
che la rivoluzione architettonica futurista ha anticipato la soluzione
dei problemi dei nostri giorni, individuando non solo i nuovi mezzi di
costruzione, dal cartone alla fibra tessile e al vetro, ma il problema
urbanistico vero e proprio, con riferimento all'organizzazione del
traffico, che oggi come si sa occupa un posto preminente rispetto a
quello dell'abitazione. Ma vi è di più. L'architetto futurista ha
intravisto, nella profezia hegeliana della morte dell'arte, la crisi
della storicità del linguaggio dell'arte, con particolare riferimento
all'invecchiamento degli edifici e della città, e che porterà al
risultato, dichiarato nel manifesto, "che le case dureranno meno di
noi". Da qui il suo ammonimento a cui oggi non possiamo sfuggire: "Ogni
generazione deve fabbricarsi la sua città". Utopia? Piuttosto un invito a
considerare il rapporto tecnico ed etico intercorrente fra l'uomo che
cambia e la città che invecchia, prima strutturalmente e poi come entità
vivente. Una delle recenti edizioni della Biennale veneziana di
Architettura ha infatti proposto per la città futura il tema "Less
aesthetics more ethics", ma senza dimenticare il "Next", ossia la
tendenza dell'uomo di oggi e dell'architettura moderna di verificare
l'ambientazione con il contiguo e l'attiguo del contesto urbano, come
sostenuto da Marinetti e il futurismo.
D'altra parte, il passaggio dalla
"rivoluzione" alla "Reconstruction the Universe", sottolineato dalla
rassegna di New York, non ha seguito l'ordine storico, entrato in crisi
nella fase destruens, ma ha espresso, attraverso lo stato d'animo, i
concetti e il linguaggio portati avanti dai manifesti futuristi, a
conferma che la creatività del manifesto di fondazione è nata e si è
espressa con la parola che si fa azione, dal momento che "non è
assolutamente possibile per i futuristi staccare la prassi creativa
dalla teoresi diretta e indiretta che la propone" (R. Civello, "F. T.
Marinetti e i manifesti" in "Marinetti domani" a cura di L. Tallarico,
Artevita, 1976).
In conseguenza, se le "fotodinamiche" di
Anton Giulio Bragaglia hanno dato vita ai futuri sviluppi degli effetti
speciali della cinematografia e della televisione, gli "intonarumori"
di Luigi Russolo hanno aperto il campo alle installazioni musicali,
avviando il passaggio ai segni digitali e allo sviluppo elettronico.
Attraverso infatti lo strumento ideato e realizzato da Russolo, è stato
consentito allo spettatore interattivo di recepire il suono in
simultanea e di impossessarsi della realtà sonora della città, senza
riguardo all'enarmonia e alle dissonanze eufoniche. La realizzazione
dell'"intonarumori" porta la data del 1913, mentre le elaborazioni dei
testi scientifici dello stesso Russolo (edizioni Futuriste di Poesia)
sono state pubblicate nel 1916. Da allora erano passati quarantadue
anni, allorché, nel 1958, l'Esposizione Universale di Bruxelles
annunciava di avere realizzato il "Poème electronique", progettato
dall'arch. Le Corbusier, con la musica elettronica di Edgard Varèse e
Willelm Tak. E' stata una delle prime opere multimediali della storia in
cui la tecnologia del digitale ha consentito di integrare spazio,
immagini, luci e suoni nel segno dell'elettronica. Come si vede, le idee
se viventi sono contagiose (5).
Dopo la consumazione del più grave
misfatto della storia umana – la bomba atomica su Hiroshima – , nella
città martoriata è stata realizzata da Alessandro Mendini, architetto
milanese legato al gruppo futurista, unitamente all'arch. Yumiko
Kobayashi, una "Torre del Paradiso" in acciaio combustibile e guglia
alta 55 metri. Nella "Torre" è stata collocata una installazione sonora,
che trasmette musica elettronica del musicista italiano Davide Mosconi.
A fronte di queste realizzazioni, che
secondo la prospettiva data dalla mostra del Guggenheim non sono
estranee le previsioni anticipate dal futurismo, è da segnalare un'altra
notizia che potrebbe riguardare le conclusioni del nostro trascurabile
intervento. Abbiamo appreso in questi giorni che le installazioni sonore
hanno varcato i luoghi religiosi e precisamente gli ambienti del Centro
musicale del San Fedele di Milano, ove i gesuiti della Compagnia di
Gesù e un gruppo avanzato di intellettuali religiosi hanno impiantato,
cum dignitate, l' "Acusmonium" elettronico, assicurando di voler –
marinettianamente – coniugare fede-cultura-modernità, come ha dichiarato
padre Antonio Pileggi: "Gesù vedeva gli uomini del suo tempo come erano
– ha soggiunto padre Pileggi – con la loro luce e la loro tenebra",
mentre l'immaginario dei giovani di oggi, legati ai comportamenti e alle
performances del proprio tempo, non sempre considera che la vita da
vivere è sfida, è lotta, è gioco infinito, teso alla trasformazione
della realtà di domani (L. Pavanel, "Ed io dico che Dio ama i
Metallica", rivista Style, maggio 2014).
E allora, quando si parla di futuro,
occorre vedere – sosteneva il fondatore del futurismo – se i giovani
abbiano "adorato e adorino la vita nella sua colorata e tumultuosa
varietà illogica" in quanto conoscenza, e se abbiano arricchito la
propria "sensibilità con il succo e con le vibrazioni di una vita
impavidamente osata vissuta goduta". Ed è su questa parabola dell'unità
dei contrari che si basano le conclusioni di un futurismo
"rivoluzionario" e insieme "costruttivo" , così come intravisto dal
Guggenheim, per cui possiamo dire, con Marinetti, che si tratta
dell'interscambio della stessa vitalità e dello stesso impegno, sia dei
credenti che dei lottatori e creatori d'arte: una parabola che comporta
futuristicamente il "prolungamento della foresta delle nostre vene, che
si effonde fuori del corpo, nell'infinito dello spazio e del tempo".
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(1) L. Tallarico, "Il Futurismo e la cultura della rivoluzione" in "I Futuristi", a cura di F. Grisi, Newton Compton editori, Roma, 1990. Capitolo ripreso dal saggio "Per una ideologia del futurismo" di L. Tallarico, Volpe editore, Roma , 1977. Riccardo Campa, nel "Trattato di filosofia futurista" (Avanguardia 21, Roma, 2012) scrive: Luigi Tallarico evidenzia che il Futurismo è una "rivoluzione letteraria ed artistica, che deve tendere alla trasformazione della vita politica e civile del popolo e non un avvenimento di natura soltanto estetica". E Tallarico ancora aggiunge:"In quanto attitudine intellettuale, il futurismo ha saputo creare una poetica basata sulla vita, di tali possibilità creative da modificare radicalmente gli strumenti diagnostici, ormai esangui, di una letteratura che non teneva il passo con la nuova civiltà e tali da non esaurirsi nell'estetica...".
(2) Dal 1984 la più estensiva documentazione sulla "seduzione dello sconfinamento" del futurismo, ovvero sulla integrazione portata avanti nelle nuove riflessioni, è quella sostenuta da Vitaldo Conte nelle sue numerose pubblicazioni: "Nuovi segnali" (antologia con audio-cassetta sulle poetiche verbo-visuali-sonore it. negli anni '70-'80), "Dispersione" (2000), "Anomalie e Malie come Arte" (2006), "SottoMissione d'amore" (2007), "Pulsional Gender Art" (2011), "Ritual Rose" (2013), mentre in "Fuoripagina TransArt" Conte raccoglie interventi già pubblicati su riviste, cataloghi e pieghevoli, usciti per manifestazioni da lui realizzate, soprattutto sul futurismo nel Salento e sotto forma di interviste a lui dedicate on-line (di R. Guerra, L. Siniscalco in Luuk Magazine) e sulle riviste Quadrante, Night Italia (di M. Fioramanti), nonché sulla rivista on-line Futurismo-oggi 2000 e sulla rivista storica a cura di Enzo Benedetto (1968) e poi di Luigi Tallarico (1993).
(3) Ha scritto Riccardo Campa in "Trattato di filosofia futurista" (opera citata): "quello che Tallarico comprende ed espone con estrema lucidità in 'I futuristi' richiamati non è sempre compreso dai critici letterari, i quali hanno invariabilmente la tendenza ad essere esteticocentrici".
(4) Nel Manifesto futurista "Contro tutti i ritorni in pittura", che porta la firma tra gli altri di Russolo e Sironi (1920), si legge che "in Francia alcuni cubisti imitano Ingres, in Germania alcuni espressionisti imitarono Grunewald e in Italia alcuni futuristi imitano Giotto". "E' assurdo e vile ritornare al museo, plagiando per rimanere nella pittura", dal momento che "ogni oggetto ha il suo ritmo particolare; ogni ritmo particolare deve concorrere al ritmo generale del quadro. Se in un quadro si può indifferentemente togliere, variare o spostare una parte, ciò significa che il ritmo di quella parte non è intimamente legato al ritmo generale del quadro, e che il quadro non è architettonicamente valido". Infine il manifesto futurista ricorda che Fernand Léger scrive: "J'aime les formes imposées par l'industrie moderne; je m'en sers; - les aciers ont mille reflets colorés plus subtils et plus fermes que les sujets dits classiques. Je soutiens qu'une mitrailleuse ou la culasse d'un 75 sont plus sujets à peinture que quatre pommes sur une table ou un paysage de Saint-Cloud, et cela sans faire du Futurisme". E conclude: "Siamo d'accordo con Fernand Léger, ma deploriamo che il suo eccessivo chauvinisme gli vieti di riconoscere che fu precisamente il futurismo a imporre la bellezza plastica e lirica della modernità meccanica".
(5) Ai nostri giorni la Nasa, l'agenzia spaziale americana, tramite il direttore artistico Bert Ulrich, ha raccolto materiali sull'attività e i suoni dei corpi celesti, dando la possibilità ad artisti ed operatori, quali Terry Riley, autore di "Sun Rings" e a David Harrington, direttore del Kronos Quartet, di realizzare odi musicali e immagini sonore del cosmo. "E' la Musica delle sfere?", si è domandata Roberta Scorranese (Corriere della Sera 21.10.2008). "Quella che il filosofo Pitagora percepiva quale cardine della perfezione universale? O quella che il latino Cicerone fa ascoltare a Scipione Aureliano nel Somnium Scipionis, stizzito dalla limitatezza della natura umana, incapace di cogliere le melodie armoniose che nascono dal 'movimento delle orbite'?". Viene comunque confermato che le previsioni marinettiane e l'esperimento di Russolo sulla captazione di suoni, colori, voci, provenienti dalla realtà, tutta la realtà umana e cosmica, producono il loro effetto grazie alla preannunciata nuova dimensione elettronica (L. Tallarico, "Luigi Russolo e la musica elettronica" in Catalogo della mostra sulla "Continuità del Futurismo", Cavallino di Lecce, Congedo Editore, 2009).
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(1) L. Tallarico, "Il Futurismo e la cultura della rivoluzione" in "I Futuristi", a cura di F. Grisi, Newton Compton editori, Roma, 1990. Capitolo ripreso dal saggio "Per una ideologia del futurismo" di L. Tallarico, Volpe editore, Roma , 1977. Riccardo Campa, nel "Trattato di filosofia futurista" (Avanguardia 21, Roma, 2012) scrive: Luigi Tallarico evidenzia che il Futurismo è una "rivoluzione letteraria ed artistica, che deve tendere alla trasformazione della vita politica e civile del popolo e non un avvenimento di natura soltanto estetica". E Tallarico ancora aggiunge:"In quanto attitudine intellettuale, il futurismo ha saputo creare una poetica basata sulla vita, di tali possibilità creative da modificare radicalmente gli strumenti diagnostici, ormai esangui, di una letteratura che non teneva il passo con la nuova civiltà e tali da non esaurirsi nell'estetica...".
(2) Dal 1984 la più estensiva documentazione sulla "seduzione dello sconfinamento" del futurismo, ovvero sulla integrazione portata avanti nelle nuove riflessioni, è quella sostenuta da Vitaldo Conte nelle sue numerose pubblicazioni: "Nuovi segnali" (antologia con audio-cassetta sulle poetiche verbo-visuali-sonore it. negli anni '70-'80), "Dispersione" (2000), "Anomalie e Malie come Arte" (2006), "SottoMissione d'amore" (2007), "Pulsional Gender Art" (2011), "Ritual Rose" (2013), mentre in "Fuoripagina TransArt" Conte raccoglie interventi già pubblicati su riviste, cataloghi e pieghevoli, usciti per manifestazioni da lui realizzate, soprattutto sul futurismo nel Salento e sotto forma di interviste a lui dedicate on-line (di R. Guerra, L. Siniscalco in Luuk Magazine) e sulle riviste Quadrante, Night Italia (di M. Fioramanti), nonché sulla rivista on-line Futurismo-oggi 2000 e sulla rivista storica a cura di Enzo Benedetto (1968) e poi di Luigi Tallarico (1993).
(3) Ha scritto Riccardo Campa in "Trattato di filosofia futurista" (opera citata): "quello che Tallarico comprende ed espone con estrema lucidità in 'I futuristi' richiamati non è sempre compreso dai critici letterari, i quali hanno invariabilmente la tendenza ad essere esteticocentrici".
(4) Nel Manifesto futurista "Contro tutti i ritorni in pittura", che porta la firma tra gli altri di Russolo e Sironi (1920), si legge che "in Francia alcuni cubisti imitano Ingres, in Germania alcuni espressionisti imitarono Grunewald e in Italia alcuni futuristi imitano Giotto". "E' assurdo e vile ritornare al museo, plagiando per rimanere nella pittura", dal momento che "ogni oggetto ha il suo ritmo particolare; ogni ritmo particolare deve concorrere al ritmo generale del quadro. Se in un quadro si può indifferentemente togliere, variare o spostare una parte, ciò significa che il ritmo di quella parte non è intimamente legato al ritmo generale del quadro, e che il quadro non è architettonicamente valido". Infine il manifesto futurista ricorda che Fernand Léger scrive: "J'aime les formes imposées par l'industrie moderne; je m'en sers; - les aciers ont mille reflets colorés plus subtils et plus fermes que les sujets dits classiques. Je soutiens qu'une mitrailleuse ou la culasse d'un 75 sont plus sujets à peinture que quatre pommes sur une table ou un paysage de Saint-Cloud, et cela sans faire du Futurisme". E conclude: "Siamo d'accordo con Fernand Léger, ma deploriamo che il suo eccessivo chauvinisme gli vieti di riconoscere che fu precisamente il futurismo a imporre la bellezza plastica e lirica della modernità meccanica".
(5) Ai nostri giorni la Nasa, l'agenzia spaziale americana, tramite il direttore artistico Bert Ulrich, ha raccolto materiali sull'attività e i suoni dei corpi celesti, dando la possibilità ad artisti ed operatori, quali Terry Riley, autore di "Sun Rings" e a David Harrington, direttore del Kronos Quartet, di realizzare odi musicali e immagini sonore del cosmo. "E' la Musica delle sfere?", si è domandata Roberta Scorranese (Corriere della Sera 21.10.2008). "Quella che il filosofo Pitagora percepiva quale cardine della perfezione universale? O quella che il latino Cicerone fa ascoltare a Scipione Aureliano nel Somnium Scipionis, stizzito dalla limitatezza della natura umana, incapace di cogliere le melodie armoniose che nascono dal 'movimento delle orbite'?". Viene comunque confermato che le previsioni marinettiane e l'esperimento di Russolo sulla captazione di suoni, colori, voci, provenienti dalla realtà, tutta la realtà umana e cosmica, producono il loro effetto grazie alla preannunciata nuova dimensione elettronica (L. Tallarico, "Luigi Russolo e la musica elettronica" in Catalogo della mostra sulla "Continuità del Futurismo", Cavallino di Lecce, Congedo Editore, 2009).