Nuova Ferrara
Arte, velocità, propaganda. I tre bozzetti appartengono a una galleria. Caccia agli altri di GIUSEPPE MURONI
Provocatore, rivoluzionario ed estremista, il Futurismo, aedo della modernolatria, si presta a continue riletture e approfondimenti, anche oltre oceano: in questo periodo è in scena la mostra "Italian Futurism, 1909-1945: Reconstructing the Universe", allestita al museo Guggenheim di New York. Un repertorio ancora non completamente esplorato induce a soffermarci sulla complessità dell'"Aeropittura Futurista", il cui manifesto è firmato nel 1929 da Marinetti con sua moglie Benedetta, insieme a Balla, Depero, Dottori, Somenzi, Prampolini, Fillia e Tato. L'estetica della velocità teorizzata e idealizzata nei primi del secolo dai furori del Primo Futurismo, trova nuova linfa vitale in quell'entusiasmo aviatorio senza precedenti che segna il post Grande Guerra. La visione dall'alto, che si tramuta in seduzioni d'alta quota, diventa mezzo attraverso cui descrivere la polimorfia della realtà, e la sua complessità spazio-temporale. I primi decenni del "Secolo Breve" sono costellati di tanti esempi di "mastering space": dalla conquista del mondo grazie a mezzi di locomozione come i transatlantici e le linee ferroviarie - la Transiberiana e le linee della Union Pacific - all'edizione obbligatoria di un atlante nazionale, emblema della consapevolezza territoriale. L'esplorazione terrestre non fu esclusivamente di superficie, ma andò di pari passo con quella aerea, in una penetrazione di visioni simultanee, smembrate e ripetute, comprensibili e apprezzabili in una logica di complessità osservativa. L'Italia fu tra i primi paesi a raccogliere l'eredità della sfida al mito di Icaro, già tentata da Leonardo con il suo ornitottero. Giulio Gavotti, decantato da Gabriele d'Annunzio in "Canzone della Diana", e Carlo Maria Piazza, il 23 febbraio 1912 scattano le prime fotografie aeree della storia e il 4 marzo inaugurano l'epoca del volo notturno, nel mezzo della Guerra di Libia. Da lì nascerà un interessante quanto controverso rapporto aereo-guerra-arte che vedrà sfilare sul pronao della storia personaggi come Gianni Caproni, Giulio Douhet - che nel 1921 pubblicando "Il dominio dell'aria" teorizza il suo pensiero sull'aeroplano e l'impiego bellico-, Arturo Ferrarin e Italo Balbo. L'aero-pittura, partorita da questo sostrato culturale, si innerva nella martellante strategia di comunicazione del regime fascista, divenendo scomoda - anche per questo legame - nel secondo dopoguerra.
Nello stormo degli aeropittori futuristi Uberto Bonetti è sicuramente tra le figure più interessanti, celebre per la nota serie delle "Aeroviste Italiane" (1932-1939), un ciclo di lavori - suggeritogli probabilmente da Krimer, all'epoca direttore dell'Ond e corrispondente dalle colonie d'Africa - raffiguranti le città e le località più importanti e famose d'Italia. Collezionista di prospettive aeree in un'Italia che mutava la sua forma sotto la spinta del fascismo di pietra, fa incetta di paesaggi antichi e nuovi, da Roma a Bari, da Milano a Siracusa, da Venezia a Padova, passando per le località famose per la mondanità, come la Versilia e. Cortina, e le nuove realtà industriali: Torino e la Fiat, Pontedera e la Piaggio, Marghera e le raffinerie. Bonetti sorvolò molte città e poté fissare dal vero scorci e prospettive aeree: per alcune si documentò utilizzando foto che ne riproducevano i monumenti e l'impianto urbanistico, per altre usò i fascicoli che proprio in quegli anni il Touring Club italiano stava iniziando a pubblicare. Un vero e proprio giro d'Italia nel quale immortalò anche le cosiddette "città nuove" e i suoi simboli razionalisti, dall'idrovora di Sassu, in cemento armato futurista, nella piana di Terralba in Sardegna, alle città pontine e a Tresigallo nel Ferrarese. Come mostra Claudio Giorgetti nel saggio "Uberto Bonetti aeropittore", molto materiale utilizzato per il ciclo delle aeroviste - foto, schizzi, appunti, tempere, studi, acquerelli ed oli - furono danneggiati in tempo di guerra durante lo sfollamento, abbandonati in un carretto dentro un magazzino per poi essere distrutti da un bombardamento alleato verso la fine della seconda guerra mondiale. Questa perdita di memoria e documentazione è coincisa - di recente - con un aumento del valore delle aeroviste rimaste, a tal punto che il mercato antiquario le propone al pubblico ogni volta con prezzi sempre più elevati. Non tutti gli schizzi hanno lo stesso valore, ma è partita la caccia al Bonetti perduto, una ricerca che ci porta ad indagare tra gallerie d'arte, di privati, e di appassionati di futurismo. Ferrara, che negli anni '20-'30 aveva conosciuto una renovatio urbis grazie ad architetti come Angiolo Mazzoni e ad ingegneri come Giorgio Gandini, Girolamo e Carlo Savonuzzi, è stata meta di passaggio dell'aereo del futurista Bonetti, interessato - per obiettivi propagandisti - ad una delle città con il fascismo più importante d'Italia. Quante aeroviste compose della città estense? Sono rimasti gli schizzi dei bozzetti preparatori? Ma soprattutto, dove si trovano queste importanti e anomale opere del Secondo Futurismo? Domande che forse non troveranno risposta, ma che inducono a riflettere sulla varietà del patrimonio disperso della lunga stagione del futurismo. Probabilmente alcune giacciono nei salotti di qualche collezionista, altre - quelle qui proposte - sono di proprietà di una galleria d'arte. Sono tre aeroviste di piccola dimensione ( 20,6 x 31, 28,5x20,5 e 25 x 32) nelle quali sono presenti gli stilemi compostivi che ritroviamo in tutti i suoi lavori, a partire dall'impianto architettonico e geometrico rispettoso delle leggi della prospettiva che, anche se distorta, non rinuncia alla verosimiglianza. L'uso delle campiture cromatiche - afferma Claudio Giorgetti in "Anni '30. L'Italia nelle aeroviste di Uberto Bonetti"- "sono funzionali a creare un senso del ritmo nel lavoro e sono affidate a coppie di colori che si enfatizzano a vicenda (rosso e verde, giallo e blu etc.) o che si neutralizzano tra loro (viola e arancio, fucsia e marrone), a cui fanno da contrappunto colori neutri o tenui, che hanno la funzione di rappresentare una pausa, o un contrappeso, che riduce l'intensità percettiva del lavoro". Anche dettagli tipografici come quelli che compongono il nome della città sono in armonia con le sperimentazioni futuriste che dalle parole in libertà ai giochi grafico-fonemici non rinunciano all'uso di lettere e segni per la costruzione dell'opera. Protagonista indiscusso è il Castello Estense, riprodotto in tutte le sue prospettive, segmentato e frammentato tra le eliche di un aereo o unito al novello Palazzo delle Poste e Telegrafi, in una fusione di tradizione e rivoluzione sottolineata dalle macchine pronte a sfrecciare nel cittadino viale Cavour. In questi lavori Bonetti esprime la gioia del volo, vissuta come gioco emozionante che permette di compiere evoluzioni sul paesaggio circostante. La caccia al Bonetti perduto è aperta, con l'auspicio che avvenga una definitiva riscoperta dell'autore, nella sua interezza artistica e umana.
Arte, velocità, propaganda. I tre bozzetti appartengono a una galleria. Caccia agli altri di GIUSEPPE MURONI
Provocatore, rivoluzionario ed estremista, il Futurismo, aedo della modernolatria, si presta a continue riletture e approfondimenti, anche oltre oceano: in questo periodo è in scena la mostra "Italian Futurism, 1909-1945: Reconstructing the Universe", allestita al museo Guggenheim di New York. Un repertorio ancora non completamente esplorato induce a soffermarci sulla complessità dell'"Aeropittura Futurista", il cui manifesto è firmato nel 1929 da Marinetti con sua moglie Benedetta, insieme a Balla, Depero, Dottori, Somenzi, Prampolini, Fillia e Tato. L'estetica della velocità teorizzata e idealizzata nei primi del secolo dai furori del Primo Futurismo, trova nuova linfa vitale in quell'entusiasmo aviatorio senza precedenti che segna il post Grande Guerra. La visione dall'alto, che si tramuta in seduzioni d'alta quota, diventa mezzo attraverso cui descrivere la polimorfia della realtà, e la sua complessità spazio-temporale. I primi decenni del "Secolo Breve" sono costellati di tanti esempi di "mastering space": dalla conquista del mondo grazie a mezzi di locomozione come i transatlantici e le linee ferroviarie - la Transiberiana e le linee della Union Pacific - all'edizione obbligatoria di un atlante nazionale, emblema della consapevolezza territoriale. L'esplorazione terrestre non fu esclusivamente di superficie, ma andò di pari passo con quella aerea, in una penetrazione di visioni simultanee, smembrate e ripetute, comprensibili e apprezzabili in una logica di complessità osservativa. L'Italia fu tra i primi paesi a raccogliere l'eredità della sfida al mito di Icaro, già tentata da Leonardo con il suo ornitottero. Giulio Gavotti, decantato da Gabriele d'Annunzio in "Canzone della Diana", e Carlo Maria Piazza, il 23 febbraio 1912 scattano le prime fotografie aeree della storia e il 4 marzo inaugurano l'epoca del volo notturno, nel mezzo della Guerra di Libia. Da lì nascerà un interessante quanto controverso rapporto aereo-guerra-arte che vedrà sfilare sul pronao della storia personaggi come Gianni Caproni, Giulio Douhet - che nel 1921 pubblicando "Il dominio dell'aria" teorizza il suo pensiero sull'aeroplano e l'impiego bellico-, Arturo Ferrarin e Italo Balbo. L'aero-pittura, partorita da questo sostrato culturale, si innerva nella martellante strategia di comunicazione del regime fascista, divenendo scomoda - anche per questo legame - nel secondo dopoguerra.
Nello stormo degli aeropittori futuristi Uberto Bonetti è sicuramente tra le figure più interessanti, celebre per la nota serie delle "Aeroviste Italiane" (1932-1939), un ciclo di lavori - suggeritogli probabilmente da Krimer, all'epoca direttore dell'Ond e corrispondente dalle colonie d'Africa - raffiguranti le città e le località più importanti e famose d'Italia. Collezionista di prospettive aeree in un'Italia che mutava la sua forma sotto la spinta del fascismo di pietra, fa incetta di paesaggi antichi e nuovi, da Roma a Bari, da Milano a Siracusa, da Venezia a Padova, passando per le località famose per la mondanità, come la Versilia e. Cortina, e le nuove realtà industriali: Torino e la Fiat, Pontedera e la Piaggio, Marghera e le raffinerie. Bonetti sorvolò molte città e poté fissare dal vero scorci e prospettive aeree: per alcune si documentò utilizzando foto che ne riproducevano i monumenti e l'impianto urbanistico, per altre usò i fascicoli che proprio in quegli anni il Touring Club italiano stava iniziando a pubblicare. Un vero e proprio giro d'Italia nel quale immortalò anche le cosiddette "città nuove" e i suoi simboli razionalisti, dall'idrovora di Sassu, in cemento armato futurista, nella piana di Terralba in Sardegna, alle città pontine e a Tresigallo nel Ferrarese. Come mostra Claudio Giorgetti nel saggio "Uberto Bonetti aeropittore", molto materiale utilizzato per il ciclo delle aeroviste - foto, schizzi, appunti, tempere, studi, acquerelli ed oli - furono danneggiati in tempo di guerra durante lo sfollamento, abbandonati in un carretto dentro un magazzino per poi essere distrutti da un bombardamento alleato verso la fine della seconda guerra mondiale. Questa perdita di memoria e documentazione è coincisa - di recente - con un aumento del valore delle aeroviste rimaste, a tal punto che il mercato antiquario le propone al pubblico ogni volta con prezzi sempre più elevati. Non tutti gli schizzi hanno lo stesso valore, ma è partita la caccia al Bonetti perduto, una ricerca che ci porta ad indagare tra gallerie d'arte, di privati, e di appassionati di futurismo. Ferrara, che negli anni '20-'30 aveva conosciuto una renovatio urbis grazie ad architetti come Angiolo Mazzoni e ad ingegneri come Giorgio Gandini, Girolamo e Carlo Savonuzzi, è stata meta di passaggio dell'aereo del futurista Bonetti, interessato - per obiettivi propagandisti - ad una delle città con il fascismo più importante d'Italia. Quante aeroviste compose della città estense? Sono rimasti gli schizzi dei bozzetti preparatori? Ma soprattutto, dove si trovano queste importanti e anomale opere del Secondo Futurismo? Domande che forse non troveranno risposta, ma che inducono a riflettere sulla varietà del patrimonio disperso della lunga stagione del futurismo. Probabilmente alcune giacciono nei salotti di qualche collezionista, altre - quelle qui proposte - sono di proprietà di una galleria d'arte. Sono tre aeroviste di piccola dimensione ( 20,6 x 31, 28,5x20,5 e 25 x 32) nelle quali sono presenti gli stilemi compostivi che ritroviamo in tutti i suoi lavori, a partire dall'impianto architettonico e geometrico rispettoso delle leggi della prospettiva che, anche se distorta, non rinuncia alla verosimiglianza. L'uso delle campiture cromatiche - afferma Claudio Giorgetti in "Anni '30. L'Italia nelle aeroviste di Uberto Bonetti"- "sono funzionali a creare un senso del ritmo nel lavoro e sono affidate a coppie di colori che si enfatizzano a vicenda (rosso e verde, giallo e blu etc.) o che si neutralizzano tra loro (viola e arancio, fucsia e marrone), a cui fanno da contrappunto colori neutri o tenui, che hanno la funzione di rappresentare una pausa, o un contrappeso, che riduce l'intensità percettiva del lavoro". Anche dettagli tipografici come quelli che compongono il nome della città sono in armonia con le sperimentazioni futuriste che dalle parole in libertà ai giochi grafico-fonemici non rinunciano all'uso di lettere e segni per la costruzione dell'opera. Protagonista indiscusso è il Castello Estense, riprodotto in tutte le sue prospettive, segmentato e frammentato tra le eliche di un aereo o unito al novello Palazzo delle Poste e Telegrafi, in una fusione di tradizione e rivoluzione sottolineata dalle macchine pronte a sfrecciare nel cittadino viale Cavour. In questi lavori Bonetti esprime la gioia del volo, vissuta come gioco emozionante che permette di compiere evoluzioni sul paesaggio circostante. La caccia al Bonetti perduto è aperta, con l'auspicio che avvenga una definitiva riscoperta dell'autore, nella sua interezza artistica e umana.