Matteo Renzi e il Jobs Act, troppo futurista per l'Italia?

L'analisi di Michele Tiraboschi, giurista e docente di diritto del lavoro, tratta dall'ultimo Bollettino Adapt



"Alla fine di tutto, noi siamo le nostre scelte". Queste parole, pronunciate nel maggio del 2010 da Jeff Bezos, fondatore e Ceo di Amazon, davanti ai giovani studenti di Princeton, sono particolarmente utili anche per chi voglia ricostruire la storia e immaginare il futuro di un intero Paese e non solo di una singola persona. E sono queste le parole che mi vengono in mente ora per commentare a caldo le misure sul lavoro approvate ieri dal Consiglio dei Ministri guidato da Matteo Renzi. Difficile immaginare oggi quale sarà il futuro di un Paese come il nostro in evidente declino, non solo economico, e anche per questo grave difficoltà nel contesto internazionale e comparato. È però certo che quando gli storici ricostruiranno le vicende del lavoro in Italia degli ultimi trent'anni, l'elemento più significativo da valutare saranno le scelte compiute dai Governi e dai sindacati.
Invero, almeno sino ad oggi, si è trattato di non scelte o comunque di scelte rimaste a metà del guado. Così è stato per il pacchetto Treu, il primo grande tentativo di riscrittura delle regole del mercato del lavoro che, dalla iniziale proposta tecnica (1995) alla sua attuazione politica in sede di concertazione (1996) e di dibattito parlamentare (1997), ha via via perso tasselli decisivi limitandosi alla rivoluzione del lavoro interinale, una scelta compiuta ben trent'anni prima in tutti gli altri Paesi europei di rilievo.
Lo stesso può dirsi per la riforma Biagi del 2003: l'ambizioso tentativo di superare le vecchie tecniche regolatorie del lavoro subordinato nella impresa fordista per delineare un nuovo Statuto di tutti i lavori è stato presto archiviato a causa della forte azione di contrasto sindacale, per tradursi in un intervento ai margini del mercato del lavoro concentrato sulle sole flessibilità in ingresso nel mercato del lavoro e su un tentativo, fallito, di ridisegnare attraverso l'alternanza, l'apprendistato e il placement universitario i percorsi di transizione dalla scuola al lavoro. I nodi dell'articolo 18, della giustizia del lavoro e della riforma degli ammortizzatori sono invece presto confluiti in un disegno di legge delega (n. 848-bis) subito collocato su un binario morto per la mancanza di adeguato sostegno politico e soprattutto sindacale verso una scelta pure nettamente enunciata nel Libro Bianco sul mercato del lavoro dell'ottobre 2001. Anche la scelta di un modello regolatorio sussidiario e cooperativo affidato a robusti sistemi bilaterali e assetti contrattuali fortemente decentrati è fallito: la legge sulla partecipazione non è mai venuta alla luce, mentre la centralità della contrattazione collettiva di prossimità è stata sancita (d.l. n. 138/2011) nella totale indifferenza degli attori sociali che anzi hanno subito replicato con la celebre postilla del settembre 2011 apposta a margine della ratifica da parte di Confindustria e Cgil-Cisl-Uil all'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 secondo cui "le materia delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate alla autonoma determinazione delle parti" con ciò escludendo la volontà di utilizzare gli spazi aperti dal Legislatore a deroghe contrattuali di secondo livello a norme di legge e/o contratto collettivo nazionale di lavoro.
A metà del guado è rimasta poi la legge Fornero che nel recepire la suggestione del "contratto unico" di derivazione dottrinale ha solo scalfito il totem dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori procedendo in parallelo a una compressione delle forme flessibili di lavoro introdotte negli anni precedenti creando non pochi danni al mercato del lavoro, secondo una logica dirigista che ha finito per comprimere ogni spazio di azione alla autonomia non solo individuale ma anche collettiva, fino all'intervento parzialmente correttivo, a colpi di cacciavite, del Governo Letta che, seppure accompagnato da rilevanti risorse economiche, poco o nulla ha inciso sulle dinamiche del mercato del lavoro e sulla propensione delle imprese ad assumere
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FORMICHE