Pierlugi Casalino, intervista sul nuovo libro: ...Islam, Donne e Modernità

Pierluigi Casalino (La Carmelina edizioni) “Dopo la primavera araba: Islam, donne e modernità” , prefazione di Roby Guerra, nota di Alessia Mocci


Islam e modernità, davvero possibile o una speranza?
L’Islam è una religione terribilmente concisa ed è stata questa sua essenzialità e assoluta semplicità (salvo le fiammate del misticismo sufi, che recepì anche le suggestioni di altre spiritualità incontrate via via sul cammino della fede musulmana fin dalle sue origini) a non favorire una più equilibrata evoluzione culturale. E tutto ciò nonostante le straordinaria stagione della filosofia dell’Islam classico che divenne modello di crescita intellettuale per l’Europa cristiana e che resta modello insuperato di razionalità, grazie alla sua capacità di rileggere e di ritrasmettere il messaggio della speculazione ellenica ad un Occidente che sembrava averla dimenticata. All’eclissi della classicità islamica, dovuta soprattutto al venir meno dello “spirito politico” degli arabi, come sottolineò Ibn Khaldùn, contribuì anche l’appesantirsi della vivacità  originaria della civiltà islamica, con il prevalere di correnti teocratiche sulla pratica secolare, con l’emergere di divisioni dottrinali spesso di natura etnica tra arabi e non arabi, con il manifestarsi, infine, di una difficoltà divenuta endemica di cogliere i segni della modernità unitamente all’incapacità di passare da una cultura ad un’altra. Se da un lato, peraltro, la semplicità ha consentito la sua diffusione nel tempo e nello spazio, l’Islam, perduto il suo slancio razionalistico dei suoi grandi maestri del pensiero (soprattutto Ibn Rushd, l’Averroè dei latini, che tanto influenzò Dante e in misura rilevante l’Europa moderna), sprofondandolo in una unilateralità dogmatica del pensiero monoteistico: elemento quest’ultimo che ha impedito spesso una lettura critica e storica del Corano, relegando all’indifferenza il mondo esterno e rendendo sterile la ricerca. Una cesura, dunque, tra oriente e modernità, come hanno al contrario evitato altri popoli come i cinesi e i giapponesi. Anche la filosofia sofistica e razionalistica e la scienza storica sono state così trascinate nell’eresia, anche sotto il progredire delle diverse ragioni di stato dei potentati musulmani nel tempo. Non mancarono  tuttavia gli esempi della Spagna islamica, culla di civiltà e di dialogo, e in un certo senso di alcune fasi della stagione ottomana, in cui ci furono grandi occasioni di pluralismo e di felice convivenza tra fedi e di apertura intellettuale insospettata. Anche durante la prima grandiosa rinascita araba sotto l’impulso che la stessa occupazione coloniale aveva suscitato con il diffondersi delle idee di libertà, di democrazia, di nazionalità e di modernità, il processo non fu così limpido: il panarabismo – e furono gli arabi cristiani a stimolarlo -, del resto si mosse tra le difficoltà provocate dalla nuova mappa del Medio Oriente uscita dalla prima guerra mondiale. Le stesse élites post-coloniali non affrontarono a pieno il discorso della laicità e della modernità e su tale fallimento si rovesciò la reislamizzazione dell’Islam, frutto della guerra fredda e del fallimento delle politiche sociali. La globalizzazione e la rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni del XX secolo e dei primi anni del XXI hanno tuttavia accelerato il processo di trasformazione delle società islamiche che, prendendo sempre più atto della necessità di uscire dal sottosviluppo e dall’emarginazione, si stanno cominciando ad interrogare sul loro destino e sull’improbabile ritorno ad un passato califfale come certe correnti integraliste hanno predicato con gli inevitabili riflessi negativi di questi ultimi decenni. La questione della modernità è sempre più affrontata con coraggio da intellettuali e gente comune, di fronte alla deriva di quella ragione che proprio la filosofia araba aveva indicato come via di progresso.
Ecco perché, nonostante le apparenti contraddizioni, spesso frutto di non meditate rappresentazioni dei media, il cammino dell’Islam verso la modernità è avviato e sono già al lavoro a questo scopo le avanguardie dei movimenti laici come può constatare chi ha modo di recarsi in alcuni di quei paesi, dove la sindrome ultraortodossa viene ormai apertamente esorcizzata.


D- Le donne avanguardia della futura e non effimera primavera araba vincente?
Si, lo abbiamo visto soprattutto in Tunisia nelle calde manifestazioni contro l’oscurantismo delle fazioni integraliste, già di per sé fuori della tradizione laica tunisina: le donne non sono altro che la punta avanzata del cambiamento epocale non solo nel Paese nordafricano, come ho potuto constatare da conversazioni, da sensazioni e da segnali un pò dovunque in terra araba, nonostante le apparenti indicazioni contrarie. Il movimento delle donne, la spinta all’emancipazione femminile in ogni forma, anche quella che definirei “velata”, costituisce una novità ormai dirompente. Quando Fatima Mernissi, sociologa marocchina, definiva, già qualche anno fa, questa la fase della riscoperta dell’anima femminile dell’Islam, ancora l’ondata delle primavere arabe non era in atto. Oggi se di rivoluzione vera si parla è perché le donne in tutto l’ecumene islamico non guardano solo alla fede che portano dentro, ma alla necessità di non dover più essere cittadine di serie b, in qualsiasi condizione o forma. La percezione che si ha in questi giorni è di essere alla vigilia di un nuova era: non sono i ripiegamenti nei costumi della tradizione che devono impressionarci (simboli di un’appartenenza – in Occidente- , che spesso in patria non è così convinta), ma le sensazioni che si colgono a pelle in seno all’universo femminile arbo-islamico. Certi stereotipi vanno sfatati, anche se la dimensione generale resta double face. Il cammino dei diritti civili, di quelli, in particolare, delle donne sarà la prova del nove della società islamica del domani, anche dove la ragion di stato mostra immagini aspirazioni represse. In tal senso il contributo delle donne alle rivoluzioni arabe, quelle autentiche, farà sì che tali mutamenti siano davvero senza ritorno e quindi destinati a creare ulteriori spazi di libertà…..


D-  La donna Oriana Fallaci,  soltanto un pregiudizio anti-islamico, pure scrisse anche un romanzo più complesso, Inshiallah…?
Esistono delle componenti nel pensiero collettivo dell’Islam che spesso riconducono a quel senso di inferiorità che quel mondo vive e soffre, ma anche a quella concezione di supremazia di origine che chi possiede una fede diversa dall’Islam debba essere una specie protetta, tollerata, ma non mai di piena cittadinanza, se poi pur la pratica ha dimostrato il contrario nella condivisione delle celebrazioni delle feste tra religioni diverse (vedi il mio “I Santi dell’Islam”, Asino Rosso). E’ tema scottante questo se si osservano i rigurgiti di islamismo, non di rado obbedienti a logiche politiche di stampo wahhabita per ragioni di acquisizione di fette di mercato….La donna Oriana Fallaci e soprattutto l’intellettuale teme questa ipoteca promossa da centrali politico religiose che muovono alla riconquista del perduto califfato, operazione che un amico musulmano ha amaramente definito di tarlo che rode le fondamenta della civiltà, anche quella musulmana. La patologia del confessionalismo è piaga antica, ma talvolta ritorna nella tempesta irrazionale della crisi della coscienza moderna. E anche un simile aspetto viene colto dalla Fallaci e credo che la sua ostilità non fosse preconcetta, e che anche la sua animosità sia da capire di fronte a certe sfide oltranziste su cui non possiamo tacere (ricordiamo l’intolleranza fanatica che ha conquistato le prime pagine dei giornali anche di casa nostra). La lettura politica della religione è comunque difetto generalizzato. Anche il marxismo aveva a sua volta tentato un esperimento simile. C’è un aspetto da non sottovalutare sulla stridente contraddizione tra ciò che appare da questa parte del mondo: anche nell’Islam la donna, e lo dicevo prima, è fattore di cambiamento di grande portata e basti pensare al dibattito sulle donne in carriera in Paesi come la Tunisia, il Marocco e la Turchia, dove uno strano islamismo di ritorno rischia di provocare reazioni contrarie imprevedibili. La separazione tra stato e religione è diventato argomento di attualità in Egitto, in Marocco e persino in Pakistan e in Afghanistan: in quest’ultimo paese le rivendicazioni tribali si sovrappongono ad ogni spinta riformista da quando gli inglesi contesero ai russi l’influenza su questo Paese e resta, nonostante tutto, il caput mortum che ostacola la liberazione della donna. Qualcuno ricorderà l’atmosfera libertaria che si respirava in Afghanistan negli anni Sessanta e Settanta, prima dell’invasione sovietica, e di quanti uomini e di quante donne dell’Occidente trovavano speciale motivo di ispirazione a Kabul e di quanta poca differenza si coglieva tra le giovani donne afgane e quelle europee o americane. Un discorso quest’ultimo che sarebbe piaciuto alla Fallaci donna e alla Fallaci intellettuale, che, mi pare, nutrisse stima e ammirazione per la causa nazionale araba….Oggi Oriana Fallaci, puntuale nelle sue analisi, avrebbe fatto un reportage sull’inattesa frontiera della questione femminile nell’Arabismo contemporaneo e nell’Islam aconfessionale che si sta preparano se pur in punta di piedi e aldilà delle ancora soverchianti ragioni di bottega politica: anche il fondamentalismo è un prodotto da laboratorio e spesso anche noi ne siamo stati complici vuoi per realpolitik vuoi per superficialità, vuoi per disinformazione….e non vorrei dilungarmi troppo…


D-  L’Occidente oggi debole.. fa poco per favorire concretamente… il futuro nei paesi arabo-islamici?
La guerra siriana, e l’ho scritto anche su qualche mio blog, rappresenta l’ultimo capitolo di un libro cominciato a scrivere con la prima guerra mondiale e poi ancora con la Conferenza di Sanremo e le successive scansioni diplomatiche: la mappa del Medio Oriente e i suoi continui aggiustamenti etnici e nazionali è funzionale al futuro delle relazioni tra l’Occidente e l’ Islam, ovvero gli Islam. La logica di potenza e gli interessi economici finiscono per fare un clamoroso autogol all’Occidente, dopo una serie di errori dovuti in parte al periodo della guerra fredda e poi via via a calcoli di bottega rivelatisi sbagliati nella forma e nella sostanza. Il caso iraniano dimostra come sia difficile e complesso parlare dei possibili rapporti di domani tra l’Occidente e il mosaico variegato dell’universo musulmano. La nuova carta geografica della regione mediorientale e le incognite libiche aprono scenari ancora più inquietanti, con il rischio di far deragliare i processi di modernizzazione e di innescare al contrario pericolose inversioni di tendenza in società che la globalizzazione con le sue luci e le sue ombre sta profondamente segnando. Vorrei ricordare nuovamente il caso giapponese, ma anche quello delle rivoluzioni nazionali e laiche di Turchia e Cina del primo Novecento: si potrebbe ripetere nell’Arabismo delle nuove rivoluzioni grazie alla determinante esplosione del fattore tecnologico e non sarebbe cosa nuova. Quando l’Europa stagnava nel Medioevo, gli Arabi erano dotati di conoscenze tecniche e scientifiche incredibili: non fu più così dopo quando il testimone passò all’Occidente e la decadenza politica di cui parlava il già citato Ibn Khaldùn portò anche al venir meno della linfa del rinnovamento scientifico. Mentre secolarizzazione e conquiste del sapere procedevano di pari passo da noi, presso gli Arabi si assistette ad un regresso spaventoso. La stagione del futurismo arabo iniziata nell’era coloniale non riuscì a pieno ad affermarsi, sotto il peso di un appiattimento storico in larga misura causato dall’atteggiamento delle grandi potenze: corruzione, sottosviluppo, islamismo politico di comodo, mancate riforme e permanere delle differenze sociali hanno fatto il resto. Anche per tale motivo l’Occidente non appare più così importante per stimolare il cambiamento: solo l’irrompere di internet è diventato occasione rivoluzionaria che va oltre le diverse caratterizzazioni locali. Infine una considerazione: se l’immigrazione costituisce un ripiegarsi nel senso di appartenenza, dall’altro si trasforma in veicolo di trasmissione delle idee; spesso salta all’occhio anche un’altra contraddizione: il conservare all’estero i costumi dei paesi d’origine non è simmetrico al processo di spoliazione in atto di tali abiti non solo mentali nella madre patria… ritorneremo su tale argomento….non facilmente comprensibile…


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