Michelangelo Ingrassia e il giovane rivoluzionario Mussolini

L'UTOPIA SOCIALISTA DEL GIOVANE MUSSOLINI

Il 22 novembre 1913 usciva in Italia il primo numero di un periodico politico poco noto e studiato ma ancora oggi di rilevante interesse per la storia delle idee agli albori del ventesimo secolo: «Utopia», che aveva per sottotitolo «Rivista Quindicinale del Socialismo Rivoluzionario Italiano».

Stampata a Lugano dalla «Tipografia Luganese» su carta elegante e con caratteri goticheggianti, la rivista aveva la direzione e l'amministrazione a Milano, in via Castel Morrone 12, poco distante dall'abitazione del suo giovane fondatore editore e direttore: Benito Mussolini.

Che «Utopia» sia stata dimenticata è probabilmente dovuto all'ingombrante e imbarazzante nome del suo ispiratore, a quel tempo leader del Partito Socialista Italiano e della sua componente interna rivoluzionaria. Ha indubbiamente influito, nella ricerca storiografica, la svolta interventista di Mussolini che nell'autunno del 1914 ne provocò la sua espulsione dal partito decretata con la qualifica di "traditore". Da quel momento si volle vedere nel socialismo del giovane romagnolo il preludio del fascismo e «Utopia» fu considerato come l'anello di congiunzione tra il Mussolini socialista e quello fascista. E' sintomatico che persino Renzo De Felice sostenga che alcuni articoli ospitati dalla rivista forniscono la chiave interpretativa della conversione di Mussolini all'interventismo e poi al fascismo.

E' tempo di rivedere questa tesi che ha lungamente circolato nella storiografia tradizionale. Il Mussolini che nel 1914 si dichiara interventista e subisce l'espulsione dal Partito Socialista, rimarrà per molto tempo ancora nel campo ideologico e politico della Sinistra italiana. Pur non definendosi più socialista, l'interventista Mussolini resterà un uomo politico di Sinistra almeno fino al 1919 quando ancora persegue, avverte l'insospettabile penna dell'antifascista Leo Valiani, «una rivoluzione democratica quale quella contenuta nel programma fascista del 1919». Soltanto quando fallisce il suo progetto di coagulare attorno all'interventismo tutti i movimenti regolari e irregolari che gravitano nell'orbita del socialismo rivoluzionario, Mussolini abbandona il campo della Sinistra e trasforma i Fasci di Combattimento in quel fascismo che diventa partito e poi regime.

Quando pubblica «Utopia» Benito Mussolini è già direttore dell'«Avanti!», al vertice del Partito Socialista Italiano e punto di riferimento nazionale della frazione rivoluzionaria che domina il partito. Fin dall'inizio combatte una guerra politica e culturale contro il riformismo. Ci sono tuttavia due questioni che dividono Mussolini anche dai rivoluzionari: egli sostiene la necessità di costituire un'élite che abbia il compito di capitanare le masse nella rivoluzione e di organizzare la dittatura del proletariato; ed è disposto ad allearsi con tutti quei movimenti rivoluzionari anticapitalisti organizzati alla sinistra del Partito Socialista Italiano: sindacalisti rivoluzionari, anarchici, repubblicani intransigenti.

L'idealismo è l'arma filosofica che il giovane Mussolini impugna nella guerra ideologica contro il positivismo e l'evoluzionismo che a suo parere inquinano il socialismo nella sua duplice versione riformista e rivoluzionaria. Una guerra che Mussolini combatte arruolando Sorel Bergson Pareto ma anche Nietzsche, del quale tenta di coniugarne il pensiero con la filosofia di Marx, la volontà di potenza con la lotta di classe, il superuomo con il proletariato.

Alla vigilia del nuovo congresso nazionale che si terrà ad Ancona nel 1914, dunque, Mussolini affila le sue armi. Tra queste vi è la rivista «Utopia», con la quale Mussolini vuole raccogliere attorno a sé una sua potenziale corrente personale per costringere i rivoluzionari a seguirlo nella sua opera di ricostruzione del partito. E' indicativo che alla rivista non collaborino esponenti della vecchia guardia rivoluzionaria ma giovani come Tasca, Panunzio, Rocca, Lanzillo, Lazzeri, De Falco, e figure come Labriola e Liebknecht: non tutti socialisti rivoluzionari ma tutti esponenti della più ampia sinistra rivoluzionaria e tutti antipositivisti.

Nella rivista s'incontrano Margherita Sarfatti, socialista ex riformista e simpatizzante del futurismo, che denuncia l'insorgere di un nuovo pericolo clericale; Gerolamo Lazzeri, socialista lunigianese antipositivista e volontarista, che rielabora il rapporto tra socialismo e questione sessuale; Adolfo Vacchi, poi partigiano comunista fucilato dai fascisti di Salò nel 1944, che aggredisce il burocratismo del partito come malattia morale del socialismo; Amadeo Bordiga, poi tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia nel 1921, che si scaglia contro l'inquinamento massonico del socialismo italiano e napoletano in particolare. Si tratta di temi che evidenziano la crisi e i ritardi del socialismo italiano, e di nomi dalla singolare esperienza intellettuale e politica nell'ambito della Sinistra.

Nell'editoriale con il quale esordisce, intitolato «Al largo», Mussolini accusa che «il socialismo europeo è fermo. Non avanza. E' forzato a tenersi sulla difensiva». La responsabilità di questo immobilismo è imputata ai riformisti che «hanno creduto a un diluirsi dello Stato e del capitalismo in una democrazia – ponte di passaggio al socialismo – mentre lo Stato è e rimane, come nella tipica definizione marxiana, il comitato d'affari della borghesia». Contro la «bancarotta del riformismo», Mussolini auspica una nuova revisione del socialismo: «è possibile, dopo la revisione riformista, una revisione rivoluzionaria del socialismo? E' possibile. E' urgente»; e rileva che nel marxismo tutto è controverso ma niente è fallito: «niente, diciamo, né la teoria della miseria crescente, né quella della concentrazione del capitale, né la previsione apocalittica della catastrofe. Tutto ciò non ha solo un valore storico, ma un valore attuale». Il marxismo, dunque, rimane la base ideologica del revisionismo rivoluzionario teorizzato da Mussolini che con la rivista tenta di realizzare quella che lui stesso definisce, in una lettera a Prezzolini, un'impresa disperata: far rivivere la coscienza teorica del socialismo marxiano, «trovare tra i giovani dell'ultima ora – socialisti e anche non socialisti – le intelligenze ignorate e capaci di ringiovanire con una nuova interpretazione – ortodossa e eterodossa – la teoria». Infatti, già nel secondo numero di «Utopia», Mussolini aveva rivolto un appello ai giovani di sinistra, socialisti e non, esortandoli a schierarsi al suo fianco. L'idea era di creare le condizioni affinché sorgesse spontaneamente un "Blocco rosso" che, scrive il direttore di «Utopia», «domani potrebbe essere imposto da una "congiuntura" rivoluzionaria». Rispunta così l'utopia mussoliniana di unificare, sulla base della revisione rivoluzionaria del marxismo, tutte le forze del proletariato italiano in un nuovo partito socialista rivoluzionario capace di determinare una situazione autenticamente rivoluzionaria e di mobilitare e guidare le masse nell'inevitabile lotta di classe. In che cosa consisteva la revisione rivoluzionaria del marxismo, Mussolini lo lasciava significativamente spiegare a uno di quei giovani che avevano risposto al suo appello: il sindacalista rivoluzionario Sergio Panunzio.

Panunzio sosteneva che per realizzare una vera e concreta politica socialista era necessario stabilire «l'abolizione del programma minimo e il ritorno al puro e semplice programma massimo». Questa rinascita del socialismo massimalista poteva avvenire, secondo l'autore, solo con l'unione del socialismo con il sindacalismo rivoluzionario.

Mussolini, autorizzando la pubblicazione di quest'articolo, si apprestava ancora una volta a forzare la mano ai rivoluzionari per trasformare il vecchio partito diviso tra minimalisti e massimalisti in un partito nuovo del socialismo rivoluzionario; non a caso, sullo stesso fascicolo della rivista, il giovane caporedattore Giuseppe De Falco, socialista vicino ai sindacalisti rivoluzionari, riproponeva la politica mussoliniana dell'unità tra tutte le forze del proletariato. Dal canto suo Panunzio affermava: «il socialismo è idealismo, non materialismo; il socialismo in tanto è vero in quanto è utopia, e ben lo sa il Mussolini … Non può essere materialistica la filosofia rivoluzionaria … dalla storia sappiamo che tutti i movimenti rivoluzionari sono stati sempre assoluti, intransigenti, intolleranti, diciamo pure giacobini, perché il giacobinismo è un momento assoluto dell'idea». In questo passaggio dell'articolo di Panunzio emerge la revisione mussoliniana del marxismo. Mussolini intende sostituire il materialismo scientifico, dal quale si dipanavano l'ortodossia rivoluzionaria e la revisione riformista, con l'idealismo che ha il compito di separare definitivamente i rivoluzionari dai riformisti. Ma questa sostituzione non rinnega il marxismo bensì lo revisiona dal punto di vista rivoluzionario con l'idealismo del pensiero che si fa azione mediante la volontà.

Se da un lato le pagine di «Utopia» svelano la tattica e la strategia del Mussolini socialista che intende unificare in un nuovo partito marxista le forze del proletariato organizzate nella Sinistra italiana, dall'altro esse rivelano la debolezza del socialismo italiano, l'immobilismo del vecchio rivoluzionarismo, l'errore del riformismo, il dramma ideologico vissuto dal socialismo nello stesso momento in cui la storia offriva a esso la possibilità di espandersi e attuarsi.

Il socialismo mussoliniano diventa così la dimostrazione storica del fallimento del socialismo italiano su cui si soffermerà severamente Ignazio Silone quando, commentando la situazione politica italiana del 1919 che aveva offerto al massimalismo una straordinaria occasione, prenderà atto che: «l'immaturità pratica dei massimalisti rispetto alla rivoluzione era profonda quanto la loro immaturità ideologica, ossia non possedevano la minima preparazione materiale e tecnica per una simile situazione. Non pronunciavano altro che frasi retoriche, vuote minacce».

Inutilmente Mussolini aveva scritto sul primo numero di «Utopia»: «Il militarismo è l'incubo dell'Europa contemporanea. Disarmo o guerra internazionale? Ecco il tragico dilemma di un domani più vicino di quanto non si creda. Il socialismo dovrà gettare allora le sue forze e la sua volontà e le sue armi sul piatto della bilancia, ma sarà inferiore al suo compito e sarà travolto dagli avvenimenti s'egli non si sarà preparato ad affrontarli». Il fallimento della «settimana rossa» nell'estate del 1914 e le indecisioni del Partito Socialista Italiano di fronte alla «Grande Guerra» nell'autunno del 1914, porranno in evidenza l'incapacità del socialismo italiano nel gestire una situazione storica rivoluzionaria. Seguirà nel 1920 il clamoroso fallimento dell'occupazione delle fabbriche, nonostante i socialisti avessero la maggioranza relativa in Parlamento e il consenso nelle piazze. Nell'esperienza socialista di Benito Mussolini è possibile intravedere le cause di quei fallimenti, ed è probabilmente questo il motivo della sua frettolosa archiviazione. In questo senso le pagine di «Utopia», che cesserà la pubblicazione nel dicembre 1914, ancora oggi creano imbarazzo come tutte le profezie inascoltate e le utopie mancate.

Michelangelo Ingrassia