La scienza del viaggio secondo Ghila Pancera

*by Eccolanotiziaquotidiana

Il viandante e lo sciamano. Diario di viaggio e formazione tra le Ande dell’Equador di  Carlo e Ghila Pancera (Este Edition, 2013)

D-  Il Viaggio…  come orizzonte conoscitivo e persino psicopedagogico?

R Ghila – Certamente si. Ho fatto il primo viaggio in aereo all’età di 4 anni, ed il primo all’estero anche più  presto, ed ho sempre sostenuto che viaggiare sia stata (e continui ad essere) la mia scuola  di vita, dalla quale ho imparato molto di più, e cose ben più importanti, che in quella  istituzionale.

 





Con questo non voglio dire che gli studi curricolari non siano importanti,  anzi, grazie ad essi ho potuto avere via via sempre più strumenti e filtri attraverso i quali leggere e capire il mondo, mi sono serviti come base. Ma in viaggio ho imparato in maniera  diversa: con l’esperienza diretta. Non parlo solo delle lingue straniere, che senza la  pratica full immersion non si fanno veramente proprie, o delle culture, della geografia, della storia, dell’antropologia culturale e via dicendo. E’ proprio vero che viaggiare apre  la mente, la nutre, ci plasma come persone, cose che vengono molto prima delle nozioni.

Viaggiare ci fa toccare con mano il fatto che esiste altro, che ci sono altri paesaggi, altri  posti, altre persone, altri modi di vivere e di concepire la vita, ci fa capire che una vita, una terra diversa è possibile, e ci fa vedere cose che rimanendo dove siamo non avremmo mai potuto nemmeno immaginare (o forse avremmo Solo potuto immaginare, cosa ben diversa dalla  realtà), proprio come nel monologo di “Blade Runner”. Quindi bisognerebbe sempre viaggiare  partendo a mente aperta, con il chiaro scopo di conoscere (e quindi l’umiltà dell’apprendista), e magari anche quello di insegnare, non per superbia ma come scambio, per esempio al ritorno, riportando la propria esperienza; e sicuramente con un fine anche di tipo  psicologico, perchè viaggiare fa bene, può essere davvero terapeutico, nel senso che ci fa capire anche noi stessi ed il mondo da cui veniamo, ci fa fare un viaggio anche interiore, e  penso di aver condensato tutte queste mie convinzioni nel racconto che dà il titolo a questo volume.

 

D-  Scienze umane e immaginario narrativo, più in generale?

R Ghila – Per quanto mi riguarda le due cose sono sempre andate a braccetto, come accade  proprio in questo volume, in cui io mi occupo della parte narrativa e mio padre (Carlo Pancera ndr.) delle scienze  umane, e come i lettori capiranno presto, c’è spesso commistione e contaminazione tra le due  parti. La curiosità per le persone può essere di vari tipi, e la si può appagare esplorando  universi scientifici e/o artistici. Se questa sete di conoscere è a tutto tondo, allora ci  appassioneremo all’etnologia tanto quanto all’idea di immaginare e descrivere un personaggio  e la sua storia, perché ciò che muove lo scrittore spesso è il voler raccontare qualcosa di  valenza generale, come un sentimento, una situazione (in questo senso si può forse parlare di  scienze umane), e farlo attraverso, con la scusa di, una specifica storia.

L’alterità, poi, che sia essa nella sua veste di esotismo di viaggio o di alterità etnico culturale o altro, ha sempre stuzzicato la curiosità dei narratori e del loro pubblico, ed ispirato storie, storie che spesso, per essere affascinanti, sono avventure, e per essere avventure, sono viaggi. Viaggi fisici del personaggio, viaggi produttivi dello scrittore o dello studioso, e viaggi immaginifici del lettore. Quindi la narrativa può in un certo senso essere un sostegno per le scienze umane, può raccontarle e farvi appassionare molte persone, oppure le due cose si possono integrare ed andare a formare un ritratto complesso di un individuo, di un gruppo, di una società, una cultura ecc. ......CONTINUA

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