L'arcivescovo Negri, lontano dalla gente
di Roberto Pazzi
Ferrara, 9 ottobre 2013 - FERRARA non meritava nella lunga storia di tolleranza e solidarietà civile, che caratterizza la chiesa ferrarese, dall’arcivescovo Bovelli, defensor civitatis durante la barbarie nazifascista, alla passione civile e pastorale di Mosconi alla colta testimonianza di Franceschi, alla silenziosa ma attenta cura del biblista Maverna, alla bonomia aperta e cordiale di Rabitti, un presule così lontano dall’universale sentire della sua città, come monsignor Negri.
CREDEVAMO che alla stonatura della sua accusa di realtà “da postribolo” rivolta alla movida degli studenti del mercoledì sera, per la presenza non sempre corretta nel sagrato del duomo, facesse seguito un diverso modo di affrontare la questione, più sfumato e attento alle ragioni della santa irragionevolezza dei giovani. Invece no.
Di recente nel vivace dibattito che ha coinvolto il sindaco della città estense, il rettore dell’università e il rappresentante degli studenti, monsignor Negri non solo ha dichiarato di non doversi scusare per la parola “postribolo”, ma ha rilanciato l’ oscurantistica minaccia di far transennare il sagrato del duomo per impedirne l’accesso ai giovani.
Monsignor Negri, lei non impedirà l’accesso solo ai giovani indisciplinati della notte, se la sua intenzione dovesse tradursi in realtà, ma alla Vita! Perché lei farà tornare indietro l’orologio della Storia, a quando il potere pontificio chiudeva ogni sera i cancelli del ghetto in via Mazzini.
E nella memoria di questa antica e nobile città, dove i nomi di alcuni dei più grandi artisti e intellettuali, da Ariosto, a Tasso, a Bartoli, a Govoni, a Caretti, a De Pisis, a Bassani, a C. Varese, a Antonioni, a Vancini, si iscrivono nel dna dell’Italia tutta, verrà ricordato come Daniele da Volterra, detto il Braghettone, il pittore che nel 1564, per ordine del papa Pio IV, in piena Controriforma, dovette disegnare i perizoma ai nudi del Giudizio Universale della Sistina, vivente Michelangelo che ne pianse. Quelle tristi mutande che poi sono state tolte nel recente restauro di quel capolavoro…
No, non è questa la pastoralità di papa Francesco, non è questo il linguaggio del pontefice che dal 13 marzo conquista i cuori, non è questo lo stile che persegue in questa stagione così difficile della Storia la Chiesa alla ricerca di un diverso consenso fra credenti e non credenti.
Forse lei, caro monsignore, credeva di essere stato inviato a bonificare una città da una lunga tradizione laica, troppo lontana dalla sua concezione della fede. Ma non abbiamo bisogno delle sue lezioni di oltranzismo e integralismo.
Lo Spirito Santo ha voluto sulla cattedra di Pietro un uomo come Giorgio Mario Bergoglio e non come il ciellino Angelo Scola, a lei così vicino.