di Gian Paolo Prandstraller
La forma, nelle funzioni visive, è una delimitazione dello spazio che ne separa una parte rispetto all’infinità del medesimo. Il più importante tentativo di identificare per tipi le forme visive è costituito dalla geometria, intesa dapprima come misurazione delle terre e poi, con Euclide (vissuto attorno al 300 a.c.) come identificazione di forme tipiche (quadrato, triangolo, cubo, sfera, ecc.) alle quali le singole delimitazioni dello spazio possono essere ricondotte.
La geometria ha avuto una grande influenza sulle arti visive. In certe culture, come quella egizia e bizantina, la geometria ha giocato un ruolo essenziale, è stata cioè una matrice di forme tipiche accettate dai creatori di arte. Ma un’altra corrente si è per così dire rifiutata di delimitare lo spazio entro icone standardizzate, e ha posto in primo piano le strutture naturalistiche degli oggetti, in particolare la figura umana e il paesaggio.
L’arte greca, grosso modo, dall’VIII secolo a.c. in poi e di seguito l’arte ellenistica (dopo la morte di Alessandro Magno) hanno imboccato questa seconda strada dando luogo alle sculture di Prassitele, Lisippo e Fidia, alla statuaria
greco-romana, alla pratica visiva del mosaico, ecc.; e d’altra parte alla pittura intesa come “imitazione” della natura sia pure condizionata dall’intenzione interpretativa degli artisti.
Si succedono forzature, riduzioni, semplificazioni, compressioni, alterazioni artificiose della forma naturale. Tali interventi, in gran parte successivi a Picasso, arrivano ad essere l’emblema di taluni movimenti artistici: per esempio, la forma come dinamismo e velocità nel futurismo, la forma costretta entro modelli rigidi nel cubismo; la forma contratta o esasperata nell’espressionismo; la forma ridotta a pura superficie e linea retta nell’astrattismo; la forma semplificata nel primitivismo al modo delle culture ingenue e primitive; la forma ridotta a moduli iconografici standardizzati ripetuti
sistematicamente; ecc.
La rivolta contro la forma arriva, mezzo secolo dopo, alla distruzione completa della stessa. Pollock compie un atto radicale di delegittimazione della forma: non a caso è considerato il fondatore del cosiddetto “informale”. Pollock sostituisce la linea periferica che dà luogo alla delimitazione dello spazio con la pura casualità del colore lasciato cadere dal pennello o da qualche recipiente sulla tela.
Ciò che ne risulta non è più forma, ma casualità visiva; in concreto una serie di macchie di colore che si formano a caso sulla superficie. Pollock inventa la pittura informale perché sostituisce l’immagine proveniente dal caso a quella dotata di senso.
Conseguentemente elimina il fattore abilità (nel creare forme visibili) sostituendolo con l’accidentalità del gesto dell’esecutore. Dopo di lui ogni pittura formale diventa contestabile; chi segua la sua linea può considerare solo le conseguenze d’un agire irrazionale, al quale sono collegati esiti non prevedibili perché estranei ad ogni progettualità. Ma Pollock va considerato una figura emblematica anche per un’altra ragione.... C
http://nuvola.corriere.it/2013/10/03/la-meccanica-quantistica-puo-aprire-nuove-strade-allarte/
La forma, nelle funzioni visive, è una delimitazione dello spazio che ne separa una parte rispetto all’infinità del medesimo. Il più importante tentativo di identificare per tipi le forme visive è costituito dalla geometria, intesa dapprima come misurazione delle terre e poi, con Euclide (vissuto attorno al 300 a.c.) come identificazione di forme tipiche (quadrato, triangolo, cubo, sfera, ecc.) alle quali le singole delimitazioni dello spazio possono essere ricondotte.
La geometria ha avuto una grande influenza sulle arti visive. In certe culture, come quella egizia e bizantina, la geometria ha giocato un ruolo essenziale, è stata cioè una matrice di forme tipiche accettate dai creatori di arte. Ma un’altra corrente si è per così dire rifiutata di delimitare lo spazio entro icone standardizzate, e ha posto in primo piano le strutture naturalistiche degli oggetti, in particolare la figura umana e il paesaggio.
L’arte greca, grosso modo, dall’VIII secolo a.c. in poi e di seguito l’arte ellenistica (dopo la morte di Alessandro Magno) hanno imboccato questa seconda strada dando luogo alle sculture di Prassitele, Lisippo e Fidia, alla statuaria
greco-romana, alla pratica visiva del mosaico, ecc.; e d’altra parte alla pittura intesa come “imitazione” della natura sia pure condizionata dall’intenzione interpretativa degli artisti.
La forma è stata, per questo cospicuo filone, l’espressione del vero; che si è articolata secondo molteplici tecniche e finalità, esternando volta a volta tendenze mistiche, simboliche, veristiche, celebrative, esornative e così via. Il XX secolo ha assestato un colpo mortale alla forma com’era stata concepita dalle arti in precedenza.Si può parlare di una vera e propria ribellione contro la forma, avvenuta nel ’900. Picasso la attacca violentemente, umiliandone la naturalità comunemente accettata. Con Picasso inizia di fatto una guerra sistematica alla forma, e questo attacco viene giustamente inteso dal senso comune come una rivoluzione.
Si succedono forzature, riduzioni, semplificazioni, compressioni, alterazioni artificiose della forma naturale. Tali interventi, in gran parte successivi a Picasso, arrivano ad essere l’emblema di taluni movimenti artistici: per esempio, la forma come dinamismo e velocità nel futurismo, la forma costretta entro modelli rigidi nel cubismo; la forma contratta o esasperata nell’espressionismo; la forma ridotta a pura superficie e linea retta nell’astrattismo; la forma semplificata nel primitivismo al modo delle culture ingenue e primitive; la forma ridotta a moduli iconografici standardizzati ripetuti
sistematicamente; ecc.
La rivolta contro la forma arriva, mezzo secolo dopo, alla distruzione completa della stessa. Pollock compie un atto radicale di delegittimazione della forma: non a caso è considerato il fondatore del cosiddetto “informale”. Pollock sostituisce la linea periferica che dà luogo alla delimitazione dello spazio con la pura casualità del colore lasciato cadere dal pennello o da qualche recipiente sulla tela.
Ciò che ne risulta non è più forma, ma casualità visiva; in concreto una serie di macchie di colore che si formano a caso sulla superficie. Pollock inventa la pittura informale perché sostituisce l’immagine proveniente dal caso a quella dotata di senso.
Conseguentemente elimina il fattore abilità (nel creare forme visibili) sostituendolo con l’accidentalità del gesto dell’esecutore. Dopo di lui ogni pittura formale diventa contestabile; chi segua la sua linea può considerare solo le conseguenze d’un agire irrazionale, al quale sono collegati esiti non prevedibili perché estranei ad ogni progettualità. Ma Pollock va considerato una figura emblematica anche per un’altra ragione.... C
http://nuvola.corriere.it/2013/10/03/la-meccanica-quantistica-puo-aprire-nuove-strade-allarte/