Il tipo di trivellazioni previsto da Hera per effettuare sondaggi sulla geotermia “non può essere assolutamente causa di alcun terremoto”. Rispondono così due geologi dell’Università di Ferrara ai dubbi sollevati da una lettrice, Gabriella Sabbioni, che in una lettera al direttore aveva citato il caso svizzero di San Gallo (vai alla lettera).
La replica alla lettera e alle preoccupazione della signora Sabbioni arriva da Giovanni Santarato, associato di Geofisica Applicata presso il Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra, e da Nasser Abu Zeid del Dipartimento di Scienze della Terra Unife. La Sabbioni nella lettera riproponeva il tema delle trivellazioni come possibile causa di terremoti, ricordando che a San Gallo in Svizzera, il 20 luglio scorso, si era verificato un sisma di magnitudo 3.6 e rimarcando che “il Politecnico di Zurigo attribuisce la responsabilità del sisma di magnitudo 3.6, alla realizzazione del progetto geotermico”. Sempre la lettrice aveva anche ricordato che nell’incontro del 4 aprile scorso gli esperti presenti avevano assicurato che il progetto geotermia di Hera non avrebbe dato luogo a terremoti, aggiungendo che quella degli esperti è una verità scientifica di oggi che può essere smentita da nuove evidenze sperimentali, invocando quindi il principio di cautela.
Santarato e Abu Zeid, nella loro replica, affermano che nessuna trivellazione, per se stessa, innesca un terremoto, mentre a provocarlo potrebbe invece essere l’uso che si fa della trivellazione. “L’evenienza di un terremoto associato ad una trivellazione – spiegano – richiede necessariamente due condizioni: la sismicità anche piccola dell’area e l’uso che si fa della trivellazione: in Svizzera, sia a Basilea nel 2006 (magnitudo 3.4) che lo scorso 20 luglio 2013 a S. Gallo l’uso del pozzo non è stato neutro. A Basilea si è iniettata acqua ad alta pressione per fratturare le rocce di un serbatoio geotermico “secco” ed estrarne il calore; a S. Gallo si è iniettata acqua ad alta pressione (650 m3) per bloccare una fuga di gas, che poteva far esplodere il pozzo. In entrambi i casi si è finito per creare fratture in maniera artificiale e quindi stressare la roccia scatenandone l’energia accumulata. In entrambi i casi quest’energia si sarebbe scatenata in futuro, a livelli superiori, quando avesse superato il limite di rottura “naturale” delle rocce (terremoto di Basilea, 1356, magnitudo stimata di 6.6: http://www.seismo.ethz.ch/eq_swiss/hist/index_IT). Se ne potrebbe desumere che questo tipo di uso delle trivellazioni anticipa e diluisce il rilascio dell’energia sismica!”.
Diverso sarebbe invece il caso dei sondaggi Hera del progetto geotermia. Innanzitutto perché, come riferiscono i due geologi, il serbatoio geotermico di Ferrara non è “secco”, ma “un ‘acquifero’ saturo d’acqua calda a circa 100°, che ne pervade i pori”. In secondo luogo l’attività geotermica “consiste nella trivellazione di 2-3 pozzi, come avvenuto a Casaglia e nella mera estrazione dell’acqua, nella portata permessa dalla permeabilità della roccia madre e dalla lunghezza del sistema di filtri, con successiva reiniezione della stessa a bassa pressione, una volta sottrattone il calore in uno scambiatore (vedasi la centrale di Cassana)”. “Quest’attività estrattiva – precisano successivamente – è tuttora attentamente monitorata, proprio come fanno in Svizzera, da una rete sismica locale, che il Comune di Ferrara ha fatto installare ed avviato nel febbraio 1990, prima dell’inizio dell’attività mineraria. La rete ha una soglia di cattura (sensibilità) degli eventi locali inferiore a magnitudo 1. Non è mai stato registrato alcun evento con fuoco all’interno del serbatoio in sfruttamento”.
A supporto ulteriore di quelle che i due geologi chiamano “semplici evidenze”, quindi non scientificvamente smentibili, vi è tutta una serie di dati che dovrebbero tranquillizzare i cittadini. “In Emilia-Romagna – dicono infatti – sono stati trivellati (o perforati) ad oggi oltre 1700 pozzi, di cui 239 ricadono nella provincia di Ferrara, per l’esplorazione petrolifera e per la produzione di idrocarburi. In nessun caso, benchè l’Emilia-Romagna sia molto più sismica della Svizzera si è verificato un terremoto connesso né a questa attività estrattiva, né tantomeno alla mera trivellazione. È peraltro vero che la coltivazione a terra di serbatoi di metano disciolto in acque metanifere contenute in formazioni porose plioceniche-pleistoceniche, geologicamente recenti, lungo la costa adriatica dal Polesine alla Romagna ha indotto la subsidenza e per questo è stata interrotta negli anni cinquanta del secolo scorso, mentre quella a mare sta proseguendo tuttora, con fenomeni analoghi”.
La conclusione di Santarato e Abu Zeid è dunque che il tpo di trivellazione che si appresta a effettuare Hera non potrà assolutamente provocare terremoti. “Stiano quindi tranquilli i concittadini ferraresi – è la considerazione finale – usino il calore geotermico che Hera gli propone, se lo vogliono. Si preoccupino invece di prevenire gli effetti dei terremoti che madre natura certamente ci manderà in futuro, geotermia o non geotermia, mettendo le proprie case in sicurezza”......
http://www.estense.com/?p=318498#comment-362881