La tesi non è nuova fra gli studiosi ed è certamente forte. La Rivoluzione d'Ottobre fu in modo speciale russa e nazionalistica, sottesa com'era dall'antica convinzione messianica che a Mosca - e alla Russia più in generale - spettasse la missione di essere, dopo Roma e Costantinopoli, il centro unificatore del mondo. Una linea storico-culturale che assegna alla Russia un ruolo salvifico e rivoluzionario, nel quadro della sua visione comunque e ricorrentemente autocratica, e che si ritrova in tutta la tradizione del pensiero politico russo, aldilà delle sue diverse stagioni: nel panslavismo anche zarista, nel populismo, così come nelle prime forme di socialismo rivoluzionario. E se i nichilisti giunsero a respingere ogni contributo dell'Occidente e a sognare una Russia orgogliosa della propria "barbarie", come scrissero anche Voltaire e altri filosofi del Settecento illuminista, i nuovi rivoluzionari accolsero l'eredità occidentale, ma solo come strumento di una rapida attuazione del programma che voleva una Russia guida e luce dei popoli. In particolare, puntando su una sorta di razionalizzazione del marxismo, avviata da Lenin e perfezionata da Stalin, i rivoluzionari di formazione bolscevica seppero fare dello stesso internazionalismo proletario uno strumento o meglio un'arma per subordinare alla riuscita del "socialismo in un solo paese" ogni scintilla rivoluzionaria in altri contesti statali e/o nazionali. Lo stesso Troskij intuì questa deriva restauratrice della Russia di sempre, della Russia eterna, tramite il disegno dello zar rosso Stalin e della sua riaffermazione burocratico-imperiale. La Russia, sotto le forme dell'URSS, si era così collocata la posizione di centro delle speranze e aspettative universali. Sono questi i tratti essenziali di una riflessione ricca di intuizioni e sviluppi, non di rado soggetta a deformazioni ideologiche di comodo e utili al disegno imperiale di Mosca. Il dissidio russo cinese, esploso dopo il XX Congresso del PCUS, non fu altro che lo scontro tra due visioni nazionalistiche mai separabili dalle antiche esigenze storiche dei due Paesi, più che da differenze di interpretazioni del marxismo pratico. Con il crollo dell'ordine di Yalta e la conseguente fine della Russia sovietica, il tema del rapporto tra il Grande Paese e le sue irrinunciabili suggestioni di potenza non è mai venuto meno, anche ai giorni nostri, in un momento in cui la Russia si trova ad affrontare un'altro e diverso passaggio rivoluzionario: quello di una non più rinviabile modernità del rapporto tra autorità e individuo, pur nel quadro di un rinnovato ricorso all'immagine tradizionale dell'uomo forte, che così è caro all'anima russa, nonostante le voci di un dissenso altrettanto fisiologico nella vicenda storica di quel mondo.
Casalino Pierluigi, 5.05.2013