Paolo Melandri -Fare Poesia dopo Schiller

*"Fare poesia", breve precipitato ars poetica in fieri

Fare poesia
Schiller, nel suo famoso saggio sulla Poesia ingenua e sentimentale distingueva tra una poesia della Natura e una poesia dell’Intelletto: diretta, quella, come l’oraziano ut pictura poësis, riflessa, questa, come un algoritmo o un ragionamento. Lo scritto di Schiller rimane, con le Rane di Aristofane, il più alto risultato della critica letteraria in assoluto e, in ispecie, per la poesia.
Noi posteri siamo confinati al ruolo di scoliasti, di commentatori insomma, di questi due scritti, ai quali non si può sfuggire. Ma chi anche pratichi la poesia a prescindere dalla riflessione su di essa, conosce a livello empirico e intuitivo quello che la critica ci ha rivelato. Poesia è Natura in quanto dà nome a tutte le cose ed è microcosmo in cui si riflette l’Universo; autonoma tuttavia da questo, come un mondo a sé stante, una creazione del Verbo attraverso l’uomo. Poesia è riflessione sulla Natura in quanto prodotto del ragionamento umano che commenta l’esperienza e tutti i suoi problemi.
Nelle Rane di Aristofane Poesia è physis e techne, cioè Natura e sapienza tecnica, artificio, Arte. Dunque Schiller ed Aristofane dicono quasi la stessa cosa, seppure il comico greco sottolinei maggiormente il tema della composizione come «magia pratica», che è conoscenza delle regole foniche e metriche giunta all’estremo apice, dove ars est celare artem, cioè dove le competenze formali sono trascese dal tocco imponderabile della Grazia.
Keats pensava al poeta come all’essere meno poetico del creato, perennemente alla ricerca di altre cose o forme in cui immedesimarsi. La più alta dote che il poeta potesse conseguire era la capacità negativa, l’immedesimazione, l’annullamento in ogni altra identità, di cui Shakespeare era maestro supremo: «A Shakespeare bastava pensare a qualunque cosa per divenire quella cosa, con tutte le sue caratteristiche». Dunque per Keats (e per Shakespeare prima di lui) fare poesia era fusione estatica con la realtà esterna (Natura) e, al contempo, interpretazione, soggettiva, della stessa. È forse qui che si cela il grande fascino del «fare poesia».
Paolo Melandri
19 ottobre 2012