L'ecopoetica di Zairo Ferrante e il dinanimismo

IL MIO CANE

 

di

 

Zairo Ferrante

 

 

 

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Il turchese del cielo si
copre di maglie
ceneree.
E stanca la brezza
accarezza la terra
assetata;
e lunga,
la quaresima dell’acqua
è ormai passata.
E tra le foglie ancora
verdi d’una nandina,
si dipingono in anticipo
i miei tenui ciclamini.
Presto si son’affacciati
per venir a festeggiare
e per primi dare annuncio
della caduca stagione.
E la Playa, distesa
ad occhi semichiusi,
l’aria annusa, ove vi
scorge l’odore del niente.
Annoiata dalla lunga
e afosa estate
accascia la sua faccia
sul ruvido cemento.
E per culla il suo
frenetico far niente,
faticosamente, ecco
che s’addormenta.
Sonnecchia il mio
cane.
E per non stonare
con la musica che
ha d’intorno
non abbaia.
È un po’ come

 

l’autunno
il mio cane.
In silenzio si distende
e prende spazio
per fare un po’ di posto
e aprir la porta,
all’ozio dolce
con la sua stagione
morta.

 

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