Eno Santecchia: Al Cairo... Edizioni Simple *recensione di Emilio Diedo

Al Cairo dieci mesi prima

Eno Santecchia

Al Cairo – dieci mesi prima.

Prefazione di Alberto Cingolani.

Presentazione di Caterina Bernardini.

Edizioni SIMPLE, Macerata 2012, pp. 178, € 16,00

Al Cairo, dieci mesi prima è il diario-guida d’un «appassionato di archeologia e di antiche civiltà». È così che si definisce l’autore, Eno Santecchia, cfr. p. 162. Ma si badi bene che «non è solo un libro scritto dopo un viaggio […] è un libro in viaggio, un libro del viaggio e nel viaggio. Un taccuino di appunti, annotazioni, riflessioni, impressioni, immagini, aneddoti, conditi da una curiosità e uno stupore che sono il carburante necessario per ogni esplorazione fuori dal conosciuto, verso un ignoto che attrae per motivi spesso inspiegabili». Appassionante aggiunta, molto in sintonia con le aspettative del lettore, questa precisazione di Caterina Bernardini (cfr. Presentazione, p. 13). Potrebbe starci bene un’integrazione. Ossia la constatazione che l’esplorazione fuori dal conosciuto, e quei motivi spesso inspiegabili forse non esulano più di tanto né dal conosciuto, per quanto si debba attenersi ad una conoscenza comunque mitica; né dall’inspiegabile.

Primo, perché si tratta d’un conosciuto afferente una protratta tradizione attinta dalla fiaba per eccellenza, improntata, da tempi ormai andati, a quelle Mille e una notte che annoverano personaggi e luoghi che hanno tenuto, e tengono ancora, con la bocca aperta i bambini, di tutto il mondo – credo. Tra quei bimbi di una volta mi ci aggiungo pure io. Ritornano in mente personaggi quali Aladino, Alì Babà e i quaranta ladroni, ma soprattutto la narrante Shahrazàd, filo rosso dell’intera raccolta. Ed i luoghi anticipano l’edenica sensazione della realtà descritta e, dal punto di vista fotografico, abbondantemente documentata da Eno Santecchia. Sono ben oltre il centinaio le foto che ne supportano il contenuto.

La seconda osservazione è consequenziale alla prima, lasciando trasparire una spiegazione atavica come parte integrante della crescita intellettiva e didattica anche di noi occidentali. Per non parlare poi, approfondendo una tematica dalla quale non se ne uscirebbe più, della conoscenza acquisita dai testi di storia circa l’Egitto, perché è di tale incantevole luogo che si parla: il titolo del libro ne richiama proprio la capitale. L’Egitto, il prosperoso e leggendario regno di Cleopatra. La patria delle celeberrime, quanto uniche, piramidi. Sede d’una peculiare architettura e d’un raffinato ed altrettanto particolare artigianato, rievocato e bravamente messo in bella vista dall’autore. Grazie anche all’aiuto di Marina Giacomelli e Tiziana Cameli, per la fotografia; di Maria Elena Paniconi e dell’intervistata, egittologa, Stefania Sofra. Quest’ultima, insieme ad Elio Diomedi, relatori l’onorevole Roberto Massi, Gentiloni Silverj, Alberto Cingolani ed Alvise Manni, ha preso parte alla presentazione, del libro in questione, sabato 21 aprile, all’Auditorium della Biblioteca Filelfica di Tolentino – so che ci tiene l’autore a citare tutti questi nomi.

Altre chicche che stuzzicano l’attenzione del lettore sono rappresentate dalla nutrita gamma di manufatti e cimeli che solo a sentirne parlare rievocano l’esperienza della fiaba: moschee e minareti, madrase, con relativi merletti e/o vetrate policrome… papiri, sarcofaghi… e mummie. Emozione è smossa altresì da un’incredibile varietà di manufatti in alabastro (come il busto di Tutankhamon – già questo nome invita ad un programma tutto suo), basalto, madreperla… e da tanti altri preziosi monili, oggettistica in oro, argento e bronzo. E, per il lettore-maschio, più pretenzioso, c’è pure la comparsa di qualche danzatrice del ventre. Non per niente la terra d’Egitto è nota, dacché Erodoto ne coniò l’attribuzione, come «dono del Nilo», di quel fiume che ne ha segnato, dalla notte dei tempi, la Storia, tra nascite e morti (cfr. Prefazione, p. 9).

Fa piacere che Alberto Cingolani, prefatore della pubblicazione, ci ricordi che in Egitto nacquero personaggi quali Marinetti ed Ungaretti, rispettivamente padri del futurismo e dell’ermetismo; la cantante Dalida ed altri ancora – ibidem, p. 10.

Mi piace ancora di più quando, tra le righe, ci si ricorda degli Italiani, quelli nati in Italia. Che non possono non aver lasciato impronta anche laggiù, come in tantissime altre parti del mondo. Non siamo forse noi tra i maggiori, se non i maggiori in assoluto, viaggiatori del mondo?! Eno Santecchia esprime dapprima ammirazione per «una copia di “Amore sacro e profano” di Tiziano Vecellio», a Gezira (cfr. p. 111). Immortala poi, sempre fotograficamente, il modellino in legno del monumento a Ismail Pascià, nel Museo dell’Esercito cairota; e quello al Milite Ignoto, sul lungomare di Alessandria, in travertino ascolano, attribuibile all’architetto Ernesto Verrucci Bey (richiamato dalla foto di p. 116). Si pensi che quest’ultimo vanta la bellezza d’una quindicina di realizzazioni architettoniche al Cairo, cinque ad Alessandria e quattro a Damanhûr.

Per non parlare del servizio postale egiziano, anch’esso fondato dalla mente italiana. Tuttora sono evidenti riferimenti e scritte italiane su cassette postali e su regolamenti di servizio. Annotazioni che non sfuggono ad Eno Santecchia.

Un costruttore di Civitanova Marche, il già citato Elio Diomedi, in più d’una conferenza, ha potuto eloquentemente dimostrare come, a suo modo di vedere, gli antichi egizi siano riusciti a mettere in piedi gigantesche piramidi, confutando vecchie, consolidate ipotesi.

È alquanto veritiero che Eno Santecchia rappresenti «onestamente, quasi candidamente, il fascino ingenuo e in qualche modo “monolitico” esercitato dalla cultura egiziana», ibidem, p. 14. Sì, l’autore esprime, in questo suo promiscuo prodotto letterario, tra la fotografia e la letterale descrizione, anche diaristica se vogliamo, il suo incantato approccio all’egittologia ed alle vicissitudini umane, sociali e genealogiche, perfino ecologiche, che ne coinvolgono e convogliano la contemporaneità porgendolo al fruitore su un vassoio che non lo espropria del suo attaccamento all’Egitto; anzi ne riaguzza l’attenzione.

Oltre al riepilogativo plafond etnografico, archeologico ed architettonico della capitale, l’autore richiama, con analoga premura foto-documentale, le bellezze, non meno appetibili, di Alessandria d’Egitto, estraendole dal salvadanaio ben colmo di parsimoniose, emozionali nozioni, indizi e concrete documentazioni provenienti dall’escursione di un anno prima, il 2004.

È chiaro che di tanta storia, tra realtà, leggenda e fiaba, nell’epoca contemporanea ne siano rimasti i calchi negli innumerevoli musei, tra la congestione di strade, veicoli a motore e grattacieli che la modernità certamente ha prodotto, come in tutte le metropoli del mondo. Si vedano le significative foto alle pp. 39 e 40, dove palme “rigorosamente” finte mascherano la tecnologia, celando gigantesche antenne televisive certamente non belle da vedersi, in mezzo a tanta natura.

Nel suo appassionante reportage, e non si tratta del primo e sono certo che non sarà nemmeno l’ultimo, Eno Santecchia, senza mettere in difficoltà il lettore con inopportuni termini tecnici architettonici, ma piuttosto con versatile ed icastica semplicità, ha saputo schematizzare, e soprattutto evidenziare con la fotografia, quanto di favoloso si possa trarre anche dalla realtà. In maniera che si possa dire che ciò che ha trattato ha saputo personalmente farlo: non è stata l’agevole passeggiata d’un ricercatore di notizie in Internet.

È comunque chiaro che ne sia stata oggetto anche una realtà prodromica di bellezze e di mitologiche tradizioni. Realtà a dir poco favolosa, anche se attualmente la situazione istituzionale e sociale egiziana non è, ahimè, delle migliori. Ma noi, in questa sede, ci va di considerarla una temporanea, sia pur distorta parentesi della Storia, che non ne divorerà l’enorme interesse accumulato in tanti secoli di stratificazione storica.

 

Emilio Diedo

 

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