Omaggio a Philip K. Dick e la fantascienza revolution *from Rinascita

Gli anni Settanta furono duri. Anni di piombo, di lotta, ma anche di speranza e visioni. Nei Settanta il meglio e il peggio dell’essere umano si intrecciarono strettamente in un indissolubile nodo gordiano che non si sciolse negli anni Ottanta, quando tutti scoprirono di aver sbagliato e cominciò il ritorno a casa. Il 2 marzo del 1982 se ne andò anche l’osannato (da critici infedeli quanto da inavveduti lettori, nessuno dei quali ne comprese la profondità) Philip K. Dick, il cui ritorno a casa, sfumate le ondate psichedeliche degli anni Sessanta, era già iniziato nel mare magno di una nevrosi che lo trascinò dalla simulazione alla mania religiosa, dall’LSD ai crocefissi. Nato nel dicembre del 1928, personaggio sfaccettato e polivalente, ambiguo al punto giusto, sempre in bilico fra rivolta e restaurazione, forse a nessuno quanto a lui si addice essere diretto figlio di Platone quanto di Kafka, di Leary quanto di Pirandello, di Berkeley quanto di Jung. Scrittore di fantascienza tentato dal mainstream, avrebbe voluto essere filosofo e come i suoi protagonisti, profeta di un nuovo culto; feroce avversario di Nixon, preoccupato analista del mondo a venire, un insieme di contraddizione politiche irrisolte. La sua ricezione, in Italia, fu quella di un ateo irrimediabile, un comunista perseguitato dagli agenti FBI, un antifascista di ferro, una sorta di Aldous Huxley della fantascienza; noi tutti ci credemmo, per scoprire in seguito non lui ma la moglie attenzionata dai federali, l’ateismo mutarsi in cristianità quasi essenica, una spiccata antipatia per il comunismo (con molto interesse per il Grande Timoniere) e invece parecchie simpatie per il fascismo italiano e qualcuna ben nascosta per il nazismo, e in quanto alla droga non ne aveva neanche troppo bisogno per descrivere i propri incubi. In mezzo a questo passaggio, dopo i fedelissimi della prima ora, e prima dei fedeli dell’ultima, si inserirono gli intellettuali (di sinistra) che scotomizzando tutto ciò che non aderiva alla vulgata lo trascinarono di peso in una terra di confine, fino a trasformarlo in una specie di messia, al punto che si contende il previlegio (dubbio) di essere in forse nel passaggio alla grande letteratura, assieme a vecchie glorie come Ray Bradbury e Richard Matheson, e ad altre più recenti come James Ballard. Fu oggetto di studi di ogni tipo e genere, e analisi così complesse da domandarsi se i critici non soffrissero di una forma particolare di iperinterpretazione compulsiva, (al punto che ancor oggi la gente quando scrive di critica fantascientifica scrive solo di Dick)... C

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