di Giovanni Sessa
Provo a rispondere, con questo mio breve scritto, alle suggestioni e agli stimoli che, la lettura del Libro-Manifesto“Per Una Nuova Oggettività. Popolo, partecipazione, destino”, e in particolare l’In-folio curato da Sandro Giovannini, ha suscitato in me. In particolare, le mie riflessioni muoveranno lungo la direzione di uno dei tre snodi teorici del Movimento di idee “Per una nuova oggettività”, individuati nella Premessa del volume: quello estetico-politico. Ciò in considerazione del fatto che, in questo particolare ambito, trovano sintesi e conclusione, anche altre rilevantissime problematiche del pensiero contemporaneo, dalle discussioni attorno alla temporalità, a quelle di simbolica della storia e di psicologia archetipale. E’ il momento, quindi, di fare i conti con l’estetico e le sue molteplici valenze. La cosa risulta addirittura imprescindibile, per una corrente di pensiero che voglia farsi latrice di quella che James Hillman chiamava la re-visione dello stato di cose presenti, oltre che di un fare, esistenziale e politico, connotato dalla ri-scoperta e ri-presa della dimensione originaria-originante. Inoltre, poiché Giovannini ha posto nel suo In-folio, il presente, sotto la tuteladell’evocativa, ma per ora poco nota, filosofia di Andrea Emo, riteniamo opportuno, in queste poche note, presentare la sua teoria dell’arte e del bello, come una possibile estetica di Nuova Oggettività.
Precisiamo, immediatamente, che questa presentazione non pretende assolutamente avere carattere esaustivo, né rispetto ad Emo, né tantomeno nei confronti del tema del “disincanto artistico”che, naturalmente, presenta tali e tanto profonde implicazioni, da meritare ben altra trattazione. Ci auguriamo, molto più semplicemente, di suscitare nel lettore, e soprattutto all’interno del Nostro Movimento, una certacuriosità nei confronti di una prospettiva che, di per sé,presenta, non solo rispetto al senso comune contemporaneo ma,verosimilmentenei riguardi delle troppo consolidate certezze teoretiche dell’area di riferimento, carattere di aperta provocazione. Perciò ci auguriamosoltantoche queste poche righe inaugurino un dibattito critico ampio, fuori dai consueti schemi esegetici,vista la centralità che attribuiamo all’argomento in questione. Infatti, nelle posizioni estetiche emiane, non soltanto ri-emerge la matricedella concezione schellinghiana dell’arte, ma viene anticipata la visione heideggeriana, per la quale la creazione estetica è messa in opera della verità.La cosadi maggior rilievo èche Emo ripropone, attraverso l’arte, un’originale attualizzazione del “metodo tradizionale”, di cui Evola colse la valenza nel rilevare: “l’interferenza di storia e sovrastoria”, di tempo ed eternità, i due momenti forti nei quali e attraverso i quali si costruisce e si trasmette il pensiero (di tradizione) .[Nota a piè di pagina]
Si tenga presente che l’opera del pensatore veneto, sta imponendo una revisione radicale della vulgata storico filosofica, sia in relazione agli sviluppi della teoresi italiana che, più in generale, di quella europea.Egli fondamentalmente sottrae, infatti, al dominio della logica dicotomico-identitaria, la relazione Essere/Nulla, superando tanto la classica impostazione parmenidea, che la sua versione eraclitea; rendendo superflua perfino la stessa Grund-frage heideggeriana: “Perché l’Essere e non il Nulla?”, in quanto la risposta ad essa è già implicita nelle premesse speculative dalle quali egli muove.L’Essere, l’Atto, la Presenza, altro non sono che il manifestarsi di un Soggetto Assoluto (inteso in termini schellinghiani), che è radicale negazione di sé. Si comprende, sulla scorta del suo esplicito recupero del Tragico, che l’essere è Ni-ente, nulla di ente. Non è un positum, un dato, un questo-qui. Ma il questo-qui, l’esserci del singolo ente, manifesta il Soggetto Assoluto. Si ha, così, l’identificazione di arché etelos, di origine e fine. Il Principio infondato ha i tratti dell’energeia greca, è il punto archimedeo della Libertà-Potenza che ci dice, con le parole di un Cristianesimo tragico, del dio negativo, del dio che muore e rinasce. Quello stesso dio resoimmanente, in quanto Geist, dall’ idealismo e stretto nelle maglie avvolgenti della sua dialettica positiva. Emo, vuole riformarlaquesta dialettica (proprio come Evola), alla luce del recupero, mutuato dal neoplatonismo,del negativo, testimoniato, in illo tempore,dalla verità dei culti agrari e dall’inesausto Dioniso, dio specchio del mondo e delle sue Metamorfosi eternamente ritornanti, sotto il segno del simile. E’intorno allaripresa del Tragico, che il Movimento della Nuova Oggettività può e deve incontrare Emo. Come, in modo estremamente chiaro, ha ricordato nel Libro-Manifesto Giuliano Borghi, Nuova Oggettività si dà solo a condizione che il mondo sia posto nelle mani dell’hasard, del caso, e la vita sia letta nella sua eterna, molteplice, continua, ininterrotta, differenziata trasformazione, che non lascia spazio né all’angoscia e, di rimando, neppure alla speranza.
Ma se: “Il sacrificio è la forma iniziatica in cui anche l’assoluto si media con se stesso”, l’arte è innanzitutto libertà espressiva.[Nota a piè di pagina] La categoria di libertà le conferisce un principio di verità, di corrispondenza all’origine, in quanto è un creare-dal-nulla, riuscendo di questo nulla a determinare la forma, pro-vocandone l’essere in modo spontaneo, gratuito, non intenzionale. Essa è filo-sofica, in quanto effettiva conoscenza del misterium, dell’Assoluto come negazione perpetua. L’atto creativo è, al medesimo tempo, sfida esplicita al carattere esclusivamente negativo del nulla stesso, poiché in esso l’attualità di una sensazione resasi forma, è custodita, difesa, tutelata in eterno. L’arte è luogo di un ultranichilismo realizzato.
Ogni poiesis è, comunque, non solo com-unione con il Subjekt, con il non dicibile e il non rappresentabile, ma risultato di un sacri-ficio, quello realizzato dall’artista nei confronti della propria personalità: egli, nella prassi creativa, concede a se stesso la funzione di intermediario nell’istituzione e fondazione del rapporto con l’Assoluto indifferenziato. Anche in questo senso, ancora una volta, il negativo, la morte, rendono possibile la mediazione tra ente ed essere. Su questa posizione, del resto, è concorde gran parte della più accorta riflessione filosofica novecentesca,dalla Stella di Rosenzweig, all’esser-per-la-morte di Heidegger, fino alla ricerca, oltre la correlazione di coscienza, della persuasione michelstedteriana. In questo senso, il fare artistico, correttamente inteso: “..crea la conoscenza e crea l’inconoscibilità”.[Nota a piè di pagina] In altri termini, si conosce attraverso la creazione, la quale, a sua volta, esprime un mistero inconoscibile, un enigma, il mistero del nulla.
La forma espressiva di ogni arte è l’immagine. Emo afferma che immaginalmente la creatività sorprende il nulla. L’immagine è quindi atto, cioè l’istante temporale intercorrente tra il suo apparire e il suo scomparire: “durante questo processo di trans-formazione o…di metamorfosi compiuto dal Nulla-Assoluto, l’opera d’arte si interpone come ulteriore metamorfosi, poiché riesce a trasmettere quel prezioso kairos meta-morfico del nulla nei tratti di una forma-di una immagine – senza tempo”.[Nota a piè di pagina]
In questo senso, l’arte emiana ha il proprio organo, nella memoria, la cui funzione peculiare è naturalmente quella classica, attribuita dagli Antichi alla madre delle Muse: cogliere l’originario istante poietico e preservarlo.Mnemosyne, quindi, come mundus immaginalis, come riferimento di una ragione cosmica, posta alla ricerca del tutto, della Ganzheit, al di là della rappresentazione propria della ratio dicotomico-identitaria. Come in Colli, anche in Emo, la tematizzazione della memoria, in ambito estetico, comporta la presenza delle due concezioni classiche del ricordare: mneme e anamnesis. Ciò che essa riporta alla luce è il contatto, oltre l’espressione degli enti del mondo, con lo sfondo abissale, l’ab-grund, che non ha i tratti del sovramondo ma che, nel qui e ora, metamorficamente si concede. Il suo ricordo archetipico, aurorale, si sviluppa nell’istante (alla luce del quale tempo e divenire risultano pensabili e misurabili), la cui essenza è l’atemporalità che pur partecipando della stabilità non è, essa stessa, tale (stabile) allo stato puro: il suo significato è quello di un’unità simultanea della vita. Essa è ben simbolizzata dal fanciullo eracliteo o dal mito di Dioniso, che dice della sovrabbondanza arbitraria che comanda e determina il mondo. Non può mai essere dis-velata del tutto, il suo darsi è il suo celarsi, il suo ri-velarsi, appunto. Anche la conoscenza estetica, il produrre artistico, hanno per Emo il doppio volto di qualsiasi altra forma di conoscenza umana: per usare il titolo di un suo volume, anche l’arte è, “supremazia” e “maledizione”.[Nota a piè di pagina] Questa sua ambiguità: “…è l’aspetto umano o anche l’aspetto pauroso, spettrale del mistero”.[Nota a piè di pagina] L’immagine artistica, in quanto congiungimento simpatetico con l’essenza ambivalente dell’Assoluto, non fa, proprio in funzione di ciò, che riproporre l’ambiguità di questa, per cui l’unica salvezza di cui è latrice, è la rinuncia alla salvezza stessa, è essenzialmente“perdizione”.
Lungo questa direttrice esegetica Emo individua una distinzione essenziale: quella che distingue le immagini antiche dalle moderne. Le prime mostrano una carica ieratica e sacra, in quanto si riferiscono e corrispondono al “divino ignoto”, e hanno in sé una paradossale componente iconoclasta. Esse si adoperano alla restituzione del significato autentico ed incontaminato del rappresentato, tendono a mostrare simbolicamente l’arché: “L’arte antica è una celebrazione del mondo com’è”. Le seconde evidenziano un’ispirazione idealistico-moraleggiante, sempre mistificatoria ed orientata a pensare il mondo in termini di un irrealizzato dover-essere. Esse sono internamente determinate da: “…un’idolatria di un’entità trasparente e metafisica e perciò inesistente”.[Nota a piè di pagina] Da una parte, quindi, l’iconoclastia sacra dell’arte antica, dall’altra l’idolatria moderna, culto fanatico dell’immagine, esperita come perfetta rappresentazione del reale. E’stato notato che, in ciò, Emo richiama la distinzione classico-platonica di eikon e eidolon.[Nota a piè di pagina] La prima, intesa come immagine vera, e in quanto tale trasposizione dell’essenza, la seconda come figurazione ingannevole della sola apparenza sensibile. L’eikon richiama una comunanza che non appartiene all’evidenza, ma rinvia a una similitudine nascosta tra elementi eterogenei (ente-Essere-Nulla), nel suo significare e alludere. Di un oggetto esso replica, inconsapevolmente, l’essenza originale, facendosi ritratto dell’inconoscibile. L’eidolon sintetizza spinte allegoriche e propositi esegetici che trovano sintesi nella cum-prehensio dell’oggetto rappresentato. Si tratta della modalità estetica della ratio calcolante che, in qualche modo, vuole appropriarsi dell’oggetto.[Nota a piè di pagina]
In quest’arte:“Tutto diviene funzione del tentativo di conoscere l’inconoscibile cioè la conoscenza stessa, la nostra forza di conoscere. E’ in questo sforzo che l’arte si esaurisce. Che perde la facoltà semplice e primitiva di vedere”.[Nota a piè di pagina] Tale condizione è ben esemplificata dalla figura di Orfeo il cui canto intenerisce le divinità ctonie, ma non riesce a ri-portare alla luce Euridice. La sua funzione è quella del filo di Arianna che conduce fino alla soglia del vero e della redenzione.[Nota a piè di pagina] Anche per l’arte, che per Emo converge con la filosofia lungo la strada del vero, c’è l’incontro con la dimensione aporetica, ma non potrebbe essere diversamente, perché essa invia al luogo in cui tutto ha inizio e dove tutto è portato a termine.
L’artista stesso, quando sia autenticamente tale, è innocente in quanto rinunciando alla propria personalità, permette al vero di manifestarsi. Comenei canoni dell’arte tradizionale, l’artista: “ scompare pienamente nelle proprie verità, ed è questo il suo pudore…in questa impersonalità e rinuncia…egli può riconoscere il valore di sé stesso”.[Nota a piè di pagina] Insomma, solo tacitando il miraggio dell’individualità può emergere l’icona del vero: l’arte è quindi intesa da Emo come la conoscenza di un apparire dell’ente che manifesta l’Assoluto (con il che, ci pare esemplarmente chiarita l’adesione del filosofo al metodo tradizionale), e per questo ha i tratti di un duro cammino iniziatico al vertice del quale, l’artista e il fruitore, naturalmente secondo diverse modalità, possono vivere, l’attimo immenso dell’originario disincanto. Neltempo della creazione, il passato oblio converge nel presente assieme al futuro memoriale: questo è davvero il luogo del sempre possibile, dell’eterno arché-telos. In esso risuonano le Voci delle cose nella loro fatticità, la Presenza nell’attualità, l’eterno nel divenire, la sovrastoria nella storia.
In considerazione di tutto ciò, mi pare che l’estetica emiana, qui presentata volutamente in modo succinto, possa essere un importante punto di riferimento nell’elaborazione di una visione del mondo di Nuova Oggettività e possa svolgere la funzione di viatico ideale per la Ur-avanguardia che se ne facesse portatrice. L’arte, così intesa, non solo permetterebbe di ripristinare la corretta sintonia con la ritmica universale, ma finanche di realizzarla sul piano del fare creativo. Si tratterebbe di riscoprire, inoltre, di fronte ad essa, la meraviglia,quale inesausta sorgente del pensiero, che sola consente di leggere, nel perpetuo succedersi dei Nuovi Inizi, delle Primavere eternamente ritornanti, il presentarsi del simile e di costruire, finalmente!, una Dimora, una Città all’altezza della sua bellezza e degli uomini che la abitano!