(Intervista a Riccardo Campa, 2012, di CLAUDIO SCAGLIONI)
1) Tua breve presentazione
Sono nato a Mantova nel 1967 e attualmente sono Professore di sociologia all’Università Jagellonica di Cracovia. Per quanto riguarda il curriculum studi, dopo la maturità tecnica (mi sono diplomato in elettronica industriale all’ITIS), ho decisamente cambiato direzione e ho conseguito due lauree umanistiche, entrambe all’Università di Bologna. Mi sono infatti laureato in Scienze politiche nel 1990 e in Filosofia nel 1994. Nel 1995 ho passato l’esame dell’Ordine dei Giornalisti e sono stato iscritto all’elenco dei giornalisti professionisti. Nel 1999 ho conseguito il Dottorato di ricerca in Epistemologia all’Università Copernico di Torun e nel 2009 l’abilitazione alla docenza universitaria in Sociologia all’Università Jagellonica di Cracovia. Questi, in sintesi, gli studi. Anche per quanto riguarda le esperienze lavorative, non è mancato un certo eclettismo. Nel biennio 1991-1992 ho lavorato come Ufficiale della Guardia di finanza presso il Nucleo di polizia tributaria di Verona. Nel quadriennio 1993-1996, ho lavorato come giornalista al quotidiano la Voce di Mantova. Nel 1996 ho deciso di intraprendere la carriera accademica e mi sono trasferito in Polonia, per scrivere il dottorato di ricerca. Una volta conseguito il titolo ho vinto due concorsi, un primo concorso all’Università di Torun nel 1999 come docente di italianistica e un secondo concorso all’Università di Cracovia nel 2002 come docente di sociologia. Per quanto riguarda la ricerca scientifica mi occupo prevalentemente di sociologia della tecnica. In parole semplici studio le condizioni socio-culturali che favoriscono lo sviluppo tecnologico e le conseguenze che lo sviluppo tecnologico ha sulla società, la cultura, la vita quotidiana. Quella tra società e tecnologia è una relazione che va in due direzioni.
2) Come mai sei andato a vivere e lavorare all'estero?
Intanto c’era da parte mia un desiderio di avventura, di cambiamento, di sfida con me stesso. Dunque una motivazione psicologica, prima ancora che economica o professionale. Sedici anni fa, quando ho deciso di emigrare, avevo un lavoro ben pagato a Mantova e l’ho lasciato. È chiaro che il problema non era solo avere un lavoro, ma avere il lavoro che piace. A un certo punto ho capito che, per il noto problema dell’enorme debito pubblico italiano e delle dinamiche neoliberiste internazionali, la pensione sarebbe stata un miraggio. Quindi era essenziale trovare un lavoro che mi gratificasse sul piano personale, uno di quei lavori che vorresti fare fino all’ultimo respiro. Fare il docente universitario non è il lavoro che ti spinge a guardare l’orologio ogni quarto d’ora, in attesa della campanella. Più che un lavoro è una missione. È quel tipo di lavoro che svolgi a tempo pieno, perché anche quando leggi il giornale, guardi la televisione, osservi la gente nelle strade e nei negozi stai lavorando. Leggi libri e prendi appunti sempre, sul treno e sull’aereo, in vacanza, in spiaggia, il sabato e la domenica. Per cui, quando mi si chiede “quante ore lavori”, la domanda per me non ha senso. Lavoro sempre e mai. L’insegnamento si riduce a poche ore la settimana, ma incontrare giovani studenti e condividere con loro il risultato delle mie ricerche e delle mie riflessioni è un piacere, più che un compito. Naturalmente, questo è vero per me, perché amo la ricerca e l’insegnamento. Conosco persone per cui è un incubo dover leggere, dover scrivere, dover insegnare. Semplicemente hanno sbagliato mestiere. Oggi è più che mai importante trovare il lavoro che piace. Anche perché iniziare a pensare alla pensione quando si hanno 25 o 30 anni è davvero deprimente. La pensione è l’anticamera della vecchiaia. Non può essere questo l’orizzonte dei nostri sogni. L’orizzonte deve essere la vita.