L'ondata di indignazione che sta percorrendo il nostro paese, prevalentemente i giovani, che manifesteranno contemporaneamente a Roma ed in tutte le principali capitali europee e non solo, il 15 ottobre, può essere solo positiva.
Forse i notabili, le menti pensanti, la classe dirigente politica e non solo, la stampa irregimentata tenteranno, da una parte, di definire ed etichettare anche questi sommovimenti come "antipolitica", o tenteranno di fagocitarli, politicamente, mettendo il cappello ad un evento nato spontaneamente, forse anche poco organizzato, ma di certo non etichettabile da destra, da sinistra o dal centro.
Questa indignazione rifiuta a priori , indipendentemente dalla connotazione, ciò che sa di "partitico".
E del resto come dare torto a questi ragazzi? Le differenze concrete e pratiche, i comportamenti, gli esempi che gli vengono dati da questa classe politica, sono nella realtà cosi poco dissimili, che per trovarle serve una lente.
Ma dobbiamo essere noi, che non abbiamo davanti una prospettiva di ambizioni, desideri, sogni ed aspirazioni, così bisognosa di respirare e di aria fresca, di spazi, di tempia metterci gli occhiali con cui analizzano la realtà i giovani d'oggi, non il contrario.
Certo passare dai sogni e dalle ambizioni, alle illusioni, è un attimo. Ma se ciò accade soprattutto perché manca la giustizia sociale, l'uguaglianza vera, il rispetto, la meritocrazia, allora il gioco, il patto sociale, gli equilibri, rischiano di saltare. Se si mette il bavaglio all'informazione, se raccontare (la verità, la notizia, ciò che si sente o si pensa vero) diventa un'asta al miglior offerente, gli spazi rischiano di chiudersi e lasciarci senza dialogo.
Indignarsi non basta, dice giustamente un grande vecchio, Pietro Ingrao, nel suo ultimo lavoro letterario, ma è un buon inizio, dove far confluire energie positive .
L'alternativa possono essere una triste stagnazione (poi non ci si meravigli se i giovani sono solo quelli dell'happy hour, non anche quelli dell'happy hour) o una pericolosa mancanza di dialogo o una guerra generazionale.
Non credo che abbiamo bisogno di un nuovo '68, credi che sia necessario un nuovo umanesimo, un nuovo rinascimento, che liberi l'energia creativa del nostro paese e dei giovani di tutto il mondo, che spontaneamente sognano, amano, credono e hanno voglia e desiderio di lottare contro le ingiustizie.
Angelo Storari