Posthuman dance. Intervista al filosofo dell’electropop

Il filosofo e musicista elettronico Riccardo Campa ci parla del suo nuovo album The Italian Way, pubblicato dall’etichetta newyorkese Space Sound Records, e di molto altro…

(di Roberto Guerra)

*FROM RICCARDO CAMPA THE ITALIAN WAY-  MAYBE YOU  *VIDEO

La musica pop – soprattutto nelle sue varianti disco electro house techno – è ormai la soundtrack del mondo computerizzato contemporaneo, del villaggio globale elettronico. Non molti sanno che Riccardo Campa, noto in Italia come professore universitario e leader del movimento transumanista, ha un alterego attivo proprio nel mondo della musica electro-pop. Da alcuni anni i suoi maxisingle come “Desperado” o “Another day” girano sui piatti dei dj di tutto il mondo. Poi sono arrivate collaborazioni importanti: ha arrangiato in versione eighties “Stay” di Albert One e “Change your mind” di Tom Hooker (entrambi usciti su vinile con la finlandese Flashback Records); ha scritto la canzone “Nineteen eighties songs” per l’interpretazione di Marc Fruttero; e ha composto “Celebration”per la Flashback Band, gruppo d’occasione che oltre a Riccardo Campa include Fred Ventura, Gianfranco Felli e Tiziana Rivale (proprio lei, la vincitrice di Sanremo nel 1983). Ora è arrivato un album CD di conio americano intitolato The Italian Way che raccoglie ben 14 brani, vecchi e nuovi. Il bello è che l’autore non si nasconde dietro alcuno pseudonimo. Esistono dunque due Riccardo Campa, uno che canta nelle discoteche e uno che insegna e scrive libri?

 

Visto che mi sta intervistando un poeta futurista, potrei cavarmela a buon mercato dicendo che faccio il possibile per incarnare l’uomo moltiplicato di Marinetti. O per dirla con le parole di un altro filosofo-musicista, Franco Battiato, vivo vite parallele. Nonostante le difficoltà, finora sono riuscito a conciliare le due attività, anche se più passa il tempo e più mi rendo conto che una vita non basta per fare tutto quello che ho in mente. Ho almeno dieci libri e duecento brani inediti che non trovo il tempo di finire e pubblicare.Anche per questa prosaica ragione, mi interesso di terapie anti-aging e transumanesimo.

 

Ma aldilà delle questioni legate al tempo, non è visto con sospetto un intellettuale che dedica tempo ed energie ad una pop cultura frivola come la musica dance? Pop electro consumistico o avanguardia di massa, come prevedevano anche in Italia Giorgio Moroder, Krisma e Righeira, e come ha fatto, perché no, Battiato?

 

È vero che in certi ambienti accademici “ammuffiti”, il modo migliore per fare carriera è atteggiarsi a topo di biblioteca. Ma proviamo ad inquadrare la questione nella giusta prospettiva. Come hai detto tu, i suoni elettronici sono la soundtrack del mondo moderno. Un sociologo non volge l’attenzione solo a ciò che èbello, buono e vero nel mondo platonico delle idee, ma anche e soprattutto a ciò che èritenuto bello, buono e vero dall’umanità reale. È difficilmente contestabile che le forme d’arte che raggiungono più capillarmente le masse sono oggi il cinema e la musica leggera. Tra l’altro le due forme d’arte si contaminano, giacché le canzoni sono spesso accompagnate da videoclip e i film da musiche. Ma non dobbiamo scordare che film e musiche convogliano messaggi di vario tipo, estetici, etici, politici, scientifici, religiosi, ecc. e, proprio per la loro capacità di raggiungere le masse, sono forze attive che muovono la realtà sociale. Chi cerca di capire il mondo, ignorando questa realtà, rischia di andare fuori bersaglio. Ma anche inoltrandosi verso l’iperuranio platonico, si può scoprire tutta la miopia di chi snobba la musica pop o dance. In una civiltàsuperiore, come quella dell’Antica Grecia, culla della conoscenza razionale e della metapolitica, chi non conosceva la musica e la danza era addirittura considerato inadatto a governare. Una civiltàè superiore proprio quando sa trovare il giusto equilibrio tra la dimensione apollinea e dionisiaca del’esistenza. Dunque, se qualcuno pensa che la musica leggera sia un’attività poco seria, questo è un suo problema. È evidentemente vittima di un certo provincialismo o perbenismo di maniera.

 

Il problema è l’Italia?

 

No, assolutamente. Il problema non è il paese, ma il microcosmo in cui si vive. In Italia, come in tutti i paesi del mondo, esistono ambienti piùretrivi ed altri piùaperti. Io vivo e lavoro a Cracovia, una grande città, la capitale culturale della Polonia. È una città popolata da artisti e studenti, nonchémolto frequentata da turisti stranieri. In questo tipo di realtà, il provincialismo non è di casa. Lo scorso anno, per esempio, in occasione del Congresso Nazionale di sociologia, le autorità accademiche mi hanno chiesto un concerto nell’Auditorium Maximum dell’Università Jagiellonica, la più antica e prestigiosa università del Paese. Non hanno voluto l’aria classica eseguita da un quartetto d’archi, ma musica leggera eseguita con computer e sintetizzatori. Del resto, nello stesso Auditorium aveva cantato prima di me Midge Ure, l’ex vocalist degli Ultravox.

 

The Italian Way in Usa...zoom sul nuovo album. Dominano in esso le sonorità elettroniche anni 80. Questa scelta vintage non è un paradosso, visto che lei è conosciuto come uno spirito proiettato nel futuro?

 

Confermo che ho usato quasi esclusivamente macchine prodotte negli anni 80 e aggiungo che non è stato facile trovare gli strumenti necessari per ricostruire quelle sonorità. Per alcuni suoni sono dovuto ricorrere a simulatori o software, ma non ho rinunciato alla coerenza. Chi se ne intende, riconoscerà immediatamente i timbri del vecchio Roland Juno 106, del sintetizzatore Yamaha DX7, del Moog, delle batterie elettroniche Simmons e Linn Drum. Io non vedo il paradosso, perché i suoni anni 80 sono più futuristici dei suoni odierni. Mi spiego meglio. Poiché erano prodotti da oscillatori analogici o da campionatori di primissima generazione, i suoni erano più“artificiali”. I non estimatori del genere dicono che erano suoni “di plastica”, ma proprio questo era il loro bello. In natura, non si era mai sentito niente di simile prima. Quelle macchine hanno introdotto nell’universo un novum, suoni inediti, grazie a transistori e integrati. Un flauto è molto più vicino alla natura rispetto al suono di un oscillatore perché il vento che sibila in un tronco cavo può produrre per caso un suono simile, senza che sia necessaria la presenza dell’uomo. Ma la natura non assembla casualmente transistor, condensatori e resistenze. Serve un ingegnere elettronico. Quando, adolescente, decisi di studiare elettronica alle superiori, erano appunto gli anni 80 e mi dedicavo già alla musica elettronica. Seguendo l’esempio dei Kraftwerk, progettavo e costruivo i dispositivi e i circuiti che poi usavo per produrre suoni. All’epoca facevo anche musica piùsperimentale rispetto a quella che faccio oggi. Una suite strumentale composta ed eseguita con I Cancelli dell’Albafu anche recensita positivamente da Rockerilla. Poi, con il mio nuovo gruppo Charisma, ci siamo orientati più decisamente sulle sonorità disco. Ma ora sto divagando nei ricordi…

 

Torniamo agli strumenti. Si usano sintetizzatori anche oggi…

 

Si, però, oggi i campionatori sono talmente evoluti che riproducono perfettamente i suoni degli strumenti tradizionali. Di conseguenza, molti artisti odierni producono canzoni con arrangiamenti tradizionali e con suoni semplicemente più puliti. In altre parole, abbiamo suoni comunque artificiali che fanno però il possibile per non apparire tali. Quasi che la tecnologia debba vergognarsi di se stessa, debba nascondersi, debba fare altro. A mio avviso il transistor deve fare il transistor, non il flauto o il violino. Coerentemente con le mie idee futuriste, amo l’artificiale, amo la plastica, amo le sonorità anni 80. Ed evidentemente migliaia di persone condividono questo amore, visto che i discografici mi chiedono sempre nuove composizioni.

 

Perché questo titolo: The Italian Way?

 

È un discorso lungo, ma forse vale la pena di chiarire che non si tratta di una mera manifestazione di nazionalismo in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. La musica elettronica si è sviluppata un po’ in tutti i paesi, non appena sono apparsi nei negozi musicali sintetizzatori e batterie elettroniche a prezzi non proibitivi. Questo èaccaduto tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80. In quel frangente, i gruppi post-punk europei hanno iniziato ad armeggiare con i synth e sono nati nuovi generi, variamente definiti new romantics, new wave, synth-pop, electro-pop, techno-pop. Nei vari paesi, questa tendenza ha assunto proprie peculiarità. I teutonici Kraftwerk sono apparsi sulla scena simili alle proprie macchine e hanno dato un carattere glaciale alle proprie composizioni. I francesi Rockets si sono presentati come alieni provenienti dallo spazio ed hanno miscelato l’elettronica a sonorità prog rock. Gli americani Devo sono riusciti a fondere punk ed elettronica e a costruire un’immagine autoironica di strampalati mutanti del futuro. Gli inglesi hanno invece prodotto musica elettronica con una chiara impronta dark/wave. Basti pensare a gruppi come New Order, Depeche Mode, Human League, Ultravox, John Foxx, Dead or alive. In Italia, infine, i musicisti elettronici hanno scelto la strada commerciale della musica dance, mettendosi in concorrenza con la discomusic americana.Anche qui, molti artisti provenivano dalla new wave, come i Gaznevada o i Kirlian Camera, altri dal pop come Miko Mission. Tre fattori hanno contribuito all’affermazione della dance italiana all’estero: la relativa debolezza della lira rispetto al dollaro, il basso costo di produzione del synth-pop rispetto alla discomusic tradizionale e la crisi di quest’ultima in USA. All’epoca vi fu una vera e propria rivolta dei rockettari che iniziarono a fare falò di vinili di disco music nelle strade, a distruggere negozi, a boicottare le radio che non trasmettevano rock. Al punto che molti artisti cambiarono orientamento…

 

E gli italiani fiutarono l’affare…

 

Esattamente. Dico questo per mettere subito le cose in chiaro. Questo genere non è nato con ambizioni artistiche. Perciò non vorrei ora dargli un’aura di importanza epocale. Come si suol dire, sono solo canzonette…

 

Però…

 

Però, come spesso accade, vicino alle grandi produzioni, capaci di egemonizzare i mercato con i classici tormentoni (sto pensando ora a brani come Future Brain di Den Harrow, Self control di Raf, Looking for love di Tom Hooker, Diamond dei Via Verdi, ecc.), si sono sviluppate produzioni minori che hanno prodotto qualcosa di innovativo. L’italo disco del momento – che qualcuno chiama “Nu Italo”, qualcun altro“Dirty Italo” – è più in linea con le produzioni minori, underground, meno commerciali. Inoltre, aggiungo che, se vogliamo proprio tracciare una linea tra arte e commercio, considerando che l’italo oggi non è più di moda come un tempo, chi vi dedica energie lo spinge volente o nolente più verso la pop art alternativa che verso il business. De facto, la comunità italo disco è una sottocultura autonoma dal mercato delle major e dal loro prodotto unico preconfezionato. Non mancano però sinergie. Per fare un esempio: Lady Gaga dimostra di avere appreso bene la lezione degli eighties.

 

L’italodisco fa dunque ancora tendenza?

 

Un paio di anni fa il magazine inglese “Dazed and Confused”, noto per la sua capacità di fare tendenza oltremanica, ha dedicato un intero servizio alla “New generation Italo disco”, menzionando tra l’altro il mio singolo ”Another day” che, abbastanza inaspettatamente, ha spopolato in Messico. E pensare che negli anni 80, l’italo disco è circolata in Gran Bretagna quasi esclusivamente grazie alle cover di Laura Branigan.

 

A proposito di tendenze, a dare importanza all’italo disco è stata anche la penetrazione nei paesi stranieri. Gli italiani hanno fatto scuola, come raramente accade. Perché secondo lei i critici italiani non riconoscono gran valore a questo genere musicale?

 

Prendo la questione alla larga, all’arte nel suo complesso. Il futurismo è stato forse l’ultima avanguardia culturale italiana che ha avuto un impatto a livello internazionale. Poi siamo sempre andati a traino degli stranieri o autoreferenziali. Questo accade anche nella musica: basta pensare a Sanremo. Chi vince Sanremo in genere vende in Italia, non all’estero. I critici o gli istituti di cultura ignorano l’italo disco per varie ragioni, non tutte peregrine a dire il vero. Innanzitutto non lo riconoscono come contributo culturale italiano, perchéè un genere che dissimula la propria italianità. Infatti, sono canzoni cantate in inglese, sostenute da un’algida sezione ritmica elettronica, con testi che non si limitano alle storie d’amore, ma parlano spesso di computer e tecnologia. Inoltre, gioca contro un tale riconoscimento il suo orientamento ostentatamente commerciale. Gli stessi pseudonimi degli artisti lo rivelano autoironicamente (Den Harrow = denaro, “Joe Yellow = gioiello, ecc.). Tuttavia, va precisato che l’orientamento commerciale è una condizione necessaria, ma non sufficiente per avere successo. Ci sono migliaia di artisti che scrivono insulse canzonette nella speranza di fare soldi e non se li fila nessuno. Il fatto è che gli italiani erano maledettamente bravi nel confezionare canzoni dance con melodie memorabili, suoni futuristici, e ritmo lento ma incalzante. Infatti, per dare risalto alle melodie ariose, scesero dai 120 o 125 bpm (battute al minuto) della disco americana ad improbabili 100 o 105 bpm. Sembrava un azzardo, ma funzionò a meraviglia. I brani risultavano potenti, ma piacevoli da ascoltare, al punto che si potevano canticchiare sotto la doccia. Le discoteche in Germania, Olanda, Scandinavia, Grecia, Spagna, Italia iniziarono a suonare solo questa musica. Ma anche i paesi socialisti dell’Est Europa (Russia, Polonia, Ungheria, ecc.) importarono massicciamente la dance italiana, anche se per ragioni non solo economiche, ma anche ideologiche. La musica americana era boicottata per l’inasprirsi della guerra fredda. Il picco di diffusione si ebbe nel biennio 1983-1984.

 

Poi cosa è accaduto?

 

È accaduto che gli altri paesi si sono adeguati ed hanno cominciato ad imitare i nostri artisti. Soprattutto la Germania. È stato infatti il produttore tedesco Bernhard Mikulski a coniare il termine “italo disco”, riconoscendone appunto l’italianità. Sentivano questi brani sintetici nelle sale da ballo, diversi dalla disco americana, e cantati in inglese ma con un accento marcatamente italiano. Si chiedevano: cos’e’? Italo disco! Naturalmente, quando si sono messi a fare la stessa musica i tedeschi, gli olandesi e persino gli inglesi (i Dead or alive non hanno fatto mistero di essersi ispirati all’italo disco per comporre il loro memorabile hit: “You spin me round”), americani e giapponesi hanno iniziato ad usare un termine piùcomprensivo per indicare questo genere d’importazione: euro disco. Per tornare quindi alla domanda iniziale, ho titolato il mio album “The Italian Way” per ricordare le origini italiane dell’euro disco. Questo album vuole celebrare la via italiana alla dance elettronica.

 

E riguardo all’immagine? Sulla cover, si presenta travestito da Al Capone, con la pistola in mano e circondato da picciotti abbigliati come Cosa Nostra americana degli anni 30. Italia: mafia e spaghetti? Un altro paradosso futur-vintage?

 

Lo stereotipo dell’Italiaè purtroppo questo, anche negli USA. È chiaro che avendo l’album per titolo “The Italian Way” serviva un’immagine forte che non lasciasse dubbi. Questa foto è semplicemente un segno, un simbolo, un’icona, che non vuole assolutamente fare apologia della mafia. Il fatto è che troppo spesso, le etichette straniere che mettono sul mercato compilation italo disco non trovano di meglio che mettere in copertina foto del Colosseo o della torre di Pisa. Sono finito anch’io su alcune di queste compilation, che a livello grafico risultano piuttosto kitsch. Qual’è lo scopo di queste immagini?Rendere immediatamente riconoscibile il prodotto sugli scaffali dei supermercati, considerando che difficilmente i brani andranno su MTV. Allora, non mi è dispiaciuto affatto quando il produttore, sfogliando il mio book fotografico, ha scelto queste foto che mi ritraggono insieme ad un gruppo swing-jazz nel quale ho militato negli anni 90: La Banda.

 

Il tuo brano preferito?

 

L’album raccoglie vecchi successi usciti solo su vinile e brani nuovi. Per quanto riguarda i vecchi brani sono affezionato a Desperado, perchéè il singolo che mi ha consacrato. Per quanto riguarda i nuovi, direi “Secret Agent Man”, dove rivelo qual’è il mio vero lavoro J, e “Cyborg Woman”. “Maybe you” ha un significato speciale perchéè dedicata a mio figlio. Auroraè un brano semanticamente “nietzscheano” che nelle forme si discosta dagli altri, perchéè una ballad elettronica, cantata in italiano, con un video dedicato all’arte e al nudo femminile… E poi… mi piacciono tutte, altrimenti non le avrei inserite nel disco.

 

A proposito di “Cyborg Woman”… il testo è fin troppo palese: “Living longer, getting stronger, that’s what you want! Faster motion, new emotions, and you look so real…”. Parla dunque anche di transumanesimo nelle sue canzoni. I due Riccardo Campa si ricompongono?

 

Assolutamente si. Il postumano è uno dei temi ricorrenti delle mie canzoni, anche se non l’unico. Ma, come ho detto prima, questa non è una mia specificità. Questaè una delle caratteristiche dell’italo disco. Invito a leggere a proposito la voce di Wikipedia. Ci sono gruppi che lo fanno con coscienza di causa. Visto che hai citato poc’anzi i Righeira, piuttosto eloquente in tal senso è la loro produzione piùrecente. Brani come “Futurista” o “La musica elettronica”, che a mio avviso sono sottovalutati dalla critica, convogliano un messaggio preciso e coerente. Per dirla con Dawkins, i memi culturali possono circolare su supporti molto diversi. Si possono diffondere certe idee nella forma di racconto orale, saggio scritto, di poesia, di legge dello Stato, di film, di videogioco, e perché no, anche di canzone. I Righeira diffondono il futurismo, non meno dei Devo o dei Kraftwerk. In una intervista a Rockerilla, molti anni fa, Ralf Hutter prese le distanze dalla scena cosmica tedesca dicendo che i Kraftwerk si ispirano al futurismo italiano. Non cantano scenari fantascientifici immaginari. Cantano poeticamente gli oggetti tecnologici terrestri costruiti dall’uomo: l’autostrada, il telefono, la radio, la televisione, il computer, il robot, ecc. Disse con orgoglio: noi siamo“terrestri”.

 

Insomma, uno va in discoteca e si ritrova postumano…

 

Diciamo che va prima in discoteca e viene infettato dal meme, quindi va in una clinica e diventa postumano. Scherzi a parte, è evidente che l’arte svolge un ruolo fondamentale nel preparare le menti al cambiamento . Sul fronte del postumano direi che, insieme alla saggistica, i protagonisti principali dell’infezione memetica sono la musica pop e la letteratura fantascientifica.

 

Adesso botta e risposta sulle preferenze. Il suo artista preferito in assoluto?

 

David Bowie

 

Il numero uno della musica elettronica?

 

John Foxx

 

Il top dell’italo disco?

 

Ho troppi amici. Non vorrei scontentare nessuno.

 

Per concludere?

 

Let’s dance.