L’aereo, bruciò per svariati giorni nel cratere che si formò, l’ala era costruita interamente in legno ed infilata nella fusoliera. La milizia non permetteva ai civili di avvicinarsi, e dei piloti non si seppe nulla. Non contenti, qualche giorno dopo, i ragazzini riuscirono a tirare fuori uno dei due motori e lo portarono, per venderlo, in una piccola fonderia artigianale. Nessuna traccia dell’ equipaggio.
Il signor Giordano non avrebbe mai pensato che quel relitto sarebbe riemerso dal suo sarcofago di terra dopo 66 anni. La sua testimonianza è stata raccolta il 31 agosto 2006 da Fabio Raimondi, appassionato di ricerche aereonautiche e tra i fondatori del blog Archeologia dell’aria (http://archeologidellaria.tuttovola.org). “Erano mesi e mesi che ne sentivamo parlare – scrive sulla pagina web Raimondi -; gli anziani dicevano che un “Pippo” era stato abbattuto nelle campagne di Copparo. Abbiamo la fortuna di conoscere bene uno dei testimoni diretti di allora, il sig. Giordano che dopo una breve intervista, ci porta sul luogo dell’impatto, non prima di aver avvisato il gentilissimo responsabile del terreno e la proprietà del terreno”.
Partono le ricerche. Con il primo sondaggio con i metal detector, e scavando non troppo in profondità, vengono portati alla luce molti frammenti in alluminio. Il passo successivo è portare alla luce, sepolto più in profondità, il secondo enorme motore: un Merlin Rolls Royce di 12 cilindri in linea, 33.500 cc, capace di erogare 1.450 cv di potenza.
Partono quindi le ricerche in internet e negli archivi per sapere lo squadrone di appartenenza. Uno degli ‘archeologi dell’aria’ scova una preziosa pagina sul web che offre una chiave di lettura che porta a un Mosquito, caduto presumibilmente causa contraerea il 19 aprile 1945, vicino a Copparo. Gli scavi continuano. E piano piano spuntano un tubo, l’attacco per le bombe, fascette, fibie, corona, interruttore.
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TRIBUTO di F. Calligari
Il Poeta Aviatore
Spett. le Redazione,
molte volte mi sono chiesto quali siano gli obblighi morali, relativi al comportamento, che dobbiamo inevitabilmente sostenere, nel difficile percorso retrospettivo tra noi e la storia. Certamente ogni individuo, differenziandolo per età, cultura o quant’altro, agisce prima di tutto con la regola del conseguimento di nozioni, ragionevolmente idonee a presentare un quadro complessivo dell’episodio storico che intendiamo esaminare ed approfondire, per renderlo il più chiaro possibile!
Questo dovrebbe essere il metodo analitico che ci permette una neutralità svincolata dall’emotività del contesto, quella emotività che le immagini e le parole, amabilmente trasmettono. Succede però, che in un giorno di piena estate, leggendo il giornale, ti ritrovi un articolo che parla di un aereo da guerra britannico, che riappare dopo più di 65 anni, nelle nostre desolate e amene campagne.
La caparbietà e la passione di alcuni ricercatori, alimentata dalla testimonianza di un attempato signore del luogo, hanno portato alla luce un pezzo di storia, che mi ha emozionato a tal punto da non rispettare quel protocollo sopra menzionato. È bastato uno sguardo all’anello con le iniziali del nome e al suo interno una dedica; “Chris, with love”, la cassa corrosa di un orologio, la foto di un ragazzo di vent’anni -il pilota- che tutte le mie teorie si avviavano a nuova discussione.
David Kennedy Raikes, così si chiamava il ragazzo aviatore che amava volare e scrivere poesie, quelle poesie che la guerra gli negò. A quel ragazzo vorrei dirgli che “la poesia è viva”, è qui tra noi, grazie anche alle sue gesta, e per comprovare tale affermazione, dedico i versi di john Gillespie Magee jr, aviatore canadese anch’egli di vent’anni, morto in un conflitto aereo nell’ultima guerra. La poesia che scrisse risulterà l’ultima, e la inviò alla madre pochi giorni prima di partire in missione. E che il suo ricordo sia un volo delicatamente a planare....
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