Biennale 2011, Sgarbi vs l'Osservatore Romano


«Quirino Principe, Tullio Gregory, Ferzan Özpetek, Ermanno Olmi, Padre Enzo Bianchi, Tullio de Mauro, Giorgio Agamben, Umberto Veronesi, Guido Ceronetti, Barbara Alberti, Norman Forster, Wim Wenders, Bernardo Bertolucci, Benedetta Creveri, Silvia Ronchey, Ruggero Guarini, Don Andrea Gallo, Luca Doninelli, Davide Rondoni, Claudio Magris, Carlo Petrini, Paolo Portoghesi, Mario Botta, Hanif Kureishi, Tahar Ben Jelloun.
Sono alcuni dei nomi che hanno segnalato, con motivata convinzione, come si vedrà nel catalogo, gli artisti per la Biennale di Venezia.

Faccio fatica a registrare i loro nomi tra quelli dei «presenzialisti che hanno invitato l’amico artista - la loro personale chiave di accesso all’arte contemporanea - a volte poco più che un dilettante».

Sono molto dispiaciuto che un critico generalmente equilibrato come Sandro Barbagallo scriva una cosa così falsa e insultante, sulla base di una impressionistica visita al Padiglione Italia, come indica il riferimento ai «dilettanti».
Nessun artista invitato al Padiglione Italia, può essere ritenuto, se non per mancanza di rispetto, «dilettante».

E mi appare anche impertinente e sorprendente, da parte di Barbagallo, concludere che «bisogna dire che gli "intellettuali" più onesti, quelli che non frequentano le mostre e hanno la casa piena di acqueforti di Pinelli, hanno rifiutato l'invito». L’affermazione è falsa.

Pochissimi intellettuali hanno rifiutato, declinando l’invito con molta cortesia per totale estraneità all’arte contemporanea, come mi hanno esplicitamente scritto Susanna Tamaro,Giovanni Veronesi, Toni Negri.
E non mi pare che possano essere considerati più «onesti» di quelli che hanno accettato di partecipare (sono 7 su 300).
Massimo Bontempelli raccolse i suoi (notevoli) scritti d’arte in un libro (onesto) dal titolo «Appasionata incompetenza»; e di Attilio Bertolucci è uscito ora «La consolazione della pittura». Non insisterò ricordando Stendhal, Baudelaire, Apollinaire, Soffici. Forse Barbagallo ha stabilito questa insensata contrapposizione per farsi una ragione di non essere stato invitato.

Ma anche altre considerazioni sono inaccettabili: non è vero che sono stati mischiati «vecchi maestri con velleitari di provincia».
E scaricare le responsabilità sull’architetto Benedetta Tagliabue, è certamente ingeneroso.

Il numero elevato di segnalatori ha imposto un criterio di accostamenti vertiginosi «a quadreria», apprezzato dalle persone semplici disponibili a stupirsi senza pregiudizi, che hanno evocato gallerie come la «Doria Pamphili» o la «Palatina» e non «la più scadente fiera di via Margutta».

Non voglio esprimere un giudizio limitatativo del merito di Achille Perilli, Carla Accardi, Luigi Boille e Giosetta Fioroni, ma non posso condividere che essi siano giudicati «irriconsocibili per eccesso di contaminazione con opere scadenti di autori mediocri».
Achille Perilli fronteggia un formidabile polittico di Filippo Martinez che Barbagallo farebbe bene a studiare. Luigi Boille è affiancato al virtuoso e riconosciuto maestro Bruno D’Arcevia. La Fioroni è in compagnia dei più significativi artisti italiani: il decano degli astrattisti italiani, l’ultranovantenne, Eugenio Carmi, amatissimo da Umberto Eco, e Enrico Della Torre segnalato, con rigorosa decisione, da Ernesto Ferrero.
Forse Barbagallo ha visto male e, non trovando i nomi, è arrivato a conclusioni sbrigative per limitata conoscenza degli artisti.

E non condivido neppure che Giuseppe Ducrot e Luigi Ontani risultino «banalizzati dall’inquinamento visivo derivato da altre opere accostate forzosamente alle loro».
Gli unici elementi inquinanti sono tre artisti non meno bravi di loro: Livio Scarpella, che consiglio a Barbagallo di osservare con attenzione, il drammatico e intensissimo Gaetano Giuffrè, e i meravigliosi Bertozzi e Casoni con la loro sedia elettrica coperta di farfalle, integralmente in ceramica.

Se poi, come dichiara Barbagallo, non piace l’opera di Pesce, questi sono problemi suoi. E’ stata ammirata ed è piaciuta a tutti.

Barbagallo critica il riferimento all’iconografia sacra: ma dovrebbe riflettere sugli esercizi spesso velleitari e frigidamente formalistici di molti degli artisti ospitati nello scolastico allestimento della mostra in Vaticano dedicata a Papa Bendetto XVI.

Lo ammonisco, inoltre, davanti a tanti e rispettabili artisti a evitare termini come «pseudoartisti». Dica a chi si riferisce, e io non mancherò di rispondergli con i nomi di non superiore livello presenti nella mostra in Vaticano.
Abbiamo capito che non gli piace Pesce, ma è assai difficile negarne il valore e l’universale riconoscimento di artista.
Apprezzo che gli siano piaciuti il Museo della Mafia e le Cene di San Giuseppe di Salemi, ma devo dire che ho trovato le sue valutazioni irriconoscibili e superficiali.

Nella distrazione mi ha attribbuito nostalgia per alcuni intellettuali scomparsi, fra i quali ricorda i fratelli Maselli. Devo fargli notare che tra i segnalatori, essendo vivo, ho voluto Citto Maselli. Ma non mi pare che neanche lui possa essere definito «autentico rappresentante della cultura italiana e intenditore d’arte»: più di Salvatore Settis, Mina Gregori, Ferdinando Bologna, Claudia Salaris, Franco Battiato, Giovanni Reale, Giulio Gioriello, Carlo Fini, Franco Maria Ricci, Tonino Guerra, Ennio Morricone, Giovanni Sartori e moltissimi altri che hanno, con profonda convinzione, indicato artisti tutti rispettabili e molti notevoli»


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