2012- Bersani e Renzi per la democrazia progressista contro l'antipolitica delle Procure

*da IL GIORNALE di F. Rondolino

 
Non sono stati i magistrati ad abbattere la Prima Repubblica nata dalla Resistenza e a sciogliere i grandi partiti storici. Non sono state le inchieste e gli avvisi di garanzia, la gogna mediatica e il carcere preventivo a distruggere la democrazia rappresentativa in Italia e a spostare il baricentro della vita pubblica dal Parlamento alle Procure: sono stati i politici a scegliersi il suicidio, dividendosi fra «onesti» e «disonesti», rinunciando a difendersi per timore dell'opinione pubblica o per viltà o per meschina convenienza, appoggiando le inchieste sull’avversario nella speranza di trarne un vantaggio politico, nascondendosi dietro alla «società civile» o al «governo dei tecnici» e in definitiva abdicando al proprio ruolo di classe dirigente.

Oggi la situazione non è diversa: non però perché si moltiplichino le inchieste (che sono invece una costante della Seconda Repubblica, al pari delle campagne mediatiche anticasta), ma perché il tramonto del berlusconismo riporta all'ordine del giorno, per la prima volta dal ’92-’94, la ricostituzione di un ordine politico democratico imperniato sulla centralità dei partiti e del Parlamento.

Il Partito Democratico, che storicamente ha lottato a lungo per questo esito positivo della crisi italiana, non può non sapere che l’ostacolo principale al ristabilimento di un giusto equilibrio dei poteri risiede in quei settori della magistratura che, a torto o ragione, ritengono necessario l’esercizio di un controllo di legalità permanente sull’attività politica.

Per lungo tempo la sinistra s’è trincerata dietro Berlusconi: di fronte ad un avversario così potente, vittorioso e discusso, la scorciatoia giudiziaria poteva tornare utile. I magistrati dunque andavano appoggiati perché indagavano sul Caimano. Neppure il fatto clamoroso che il secondo governo Prodi sia caduto per un’inchiesta di De Magistris, poi rivelatasi a dir poco inconsistente, ha convinto la sinistra a ritirare la delega in bianco rilasciata ai pubblici ministeri.

Oggi che una serie di inchieste cinge d’assedio il Pd, avvicinandosi colpo dopo colpo al cuore del partito, l’imbarazzo non riesce ancora a sciogliersi in analisi e iniziativa politica. La parte peggiore, incarnata nell’isteria manettara di Rosy Bindi, è convinta che i magistrati vadano difesi a prescindere, perché così si conquistano popolarità e voti. La parte migliore, che si ritrova nella parole di Bersani, s’illude di vivere in un «Paese normale» e dunque proclama la piena fiducia nell’operato della magistratura. Ma si sbagliano entrambi, perché il nostro non è affatto un Paese normale, e fra le sue anormalità c’è senza dubbio l’esondazione politica dell’azione giudiziaria, che, selettivamente, colpisce nei momenti cruciali questo o quel partito, o corrente, o leader.

Perché nessuna Procura indaga su quell'armata Brancaleone che è l’Idv di Di Pietro? E perché secondo i magistrati di Bari l’assessore Tedesco dovrebbe andare in galera, mentre Nichi Vendola, che l’ha nominato, è stato cancellato dall’inchiesta? E perché proprio adesso, alla vigilia di elezioni politiche unanimemente considerate decisive, si accendono i riflettori sul Pd, il maggior partito d’opposizione? E perché le inchieste puntano esplicitamente su D’Alema (attraverso la Fondazione Italianieuropei) e su Bersani (di cui Penati è stato fino all’anno scorso il coordinatore della segreteria), cioè sull’uomo forte del partito e sul candidato in pectore a palazzo Chigi?....CONTINUA

http://www.ilgiornale.it/interni/il_pd_giustizialista_stavolta_non_si_salva/25-07-2011/articolo-id=536677-page=0-comments=1