Padiglione Italia. Possibile che sia stato così difficile dire di no? Autore: Francesca Pasini e Giorgio Verzotti
“Questa simpatica manifestazione è dunque frutto dello sforzo intellettuale congiunto di trecento noti personaggi della cultura, moda, spettacolo, che hanno aderito al Monopoli ed hanno indicato, ognuno, un 'artista', non pensando di cacciarlo nei guai e diventando così complici di una operazione che crea il delitto perfetto: ammazzare l'arte italiana per overdose, coprendola di ridicolo, con l'aiuto fornito dalle stesse vittime”. Così scrive Massimo Minini nella sua rubrica su Flash Art, e non si poteva dire meglio. Però i mali non finiscono qui: eran trecento non tutti giovani e non tanto forti, ma quello che colpisce è la “statura” di alcuni intellettuali selezionatori. Vai all'articolo
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Alcuni buoni (e cattivi) motivi per andare alla 54. Biennale di Venezia Autore: Antonello Tolve
C'è Venezia. La Venezia dello spettacolo, quella di Palladio, quella di Piazza San Marco e del gran turismo internazionale. «E poi c'è tutta l'altra Venezia», ha scritto Diego Valeri nella sua Guida sentimentale di Venezia: «quella interna, delle calli, dei campi, dei rii, delle rive remote: quella che forma il gran corpo della città». Infine c'è la grande (e impareggiabile) Biennale di Venezia che, giunta oggi alla sua 54. edizione, propone – ormai da sempre – uno show unico per il popolo dell'arte che vi confluisce tutto per partecipare, appunto, ad uno degli eventi più esclusivi al mondo. Anche perché in Biennale non mancano mai occasioni. Incontri tra amici o dibattiti. Non mancano eventi meravigliosi, superlativi, eccezionali. E non mancano nemmeno critiche pesanti (a mostre di turno, a scelte, a premiazioni ecc). O scandali internazionali. Vai all'articolo |
Google Art Project, i musei del mondo a casa propria Autore: Antonello Tolve
Assieme alla simulazione, alla liquidità (Bauman), all’immateriale e al virtuale, alla trasparenza, all’apertura ad una civiltà transnazionale e ad una città sovraesposta (Virilio), ad un passaggio indolore dalla storia alla geografia (Bonito Oliva), ad una destituzione filosofica dell'arte tracciata da Danto, la sparizione stessa dell’arte, l’eclisse dell’autore, il collasso della critica e il declino dell’estetica hanno raffigurato – e raffigurano –, dagli anni ottanta ad oggi, alcuni percorsi e tratti del pensiero più attuale. Di un pensiero che disegna, via via, i discorsi di Barthes, di Foucault e di Deleuze, di Baudrillard e Virilio, di Trimarco, Levy, Danto, Perniola, Vattimo, Michaud, Nancy. E, anche se con maggiore moderazione, di Dorfles, che dal canto suo radicalizza e ironizza su una forma di acriticità della critica. Un fascicolo riflessivo che, non solo opera sul dissolvimento – dell'arte, del mondo o della vita – ma anche, in maniera nevralgica, sulla costruzione (che si fa frana irreparabile) di un sano e reale progetto moderno. Vai all'articolo |
THE WHITNEY MUSEUM OF AMERICAN ART: UNA NUOVA SEDE PER IL MUSEO DELL’ARTE AMERICANA Autore: Aurora Tamigio
È l’anno1928 quando Edward Robinson, direttore del Metropolitan Museum di New York, si rifiuta di acquisire la collezione di circa 500 pezzi di arte americana contemporanea di Gertrude Vanderbilt Whitney. Tre anni dopo la ricca ereditiera newyorkese, dopo l’esperienza del Whitney Studio - spazio espositivo per giovani artisti - decide di avviare la creazione di un museo tutto suo, sulla 8th Street, nel cuore di Greenwich Village. È l’inizio del Whitney Museum. Nel 1966 Jacqueline Kennedy taglia il nastro dell’edificio che ospita tuttora il museo su Madison Avenue, all'angolo con la 75esima Strada, nell’inespugnabile torre granitica progettata da Marcel Breuer. Lo scorso 24 maggio 2011, a New York, sono iniziati i lavori per la nuova sede del Whitney Museum of American Art che sorgerà tra High Line e Hudson River Park, all’angolo di Gansevoort e Washington Streets, nel Meatpacking District. Dopo 45 anni il Whitney dice addio all’edificio di Upper East Side e si riappropria delle sue origini tornando alla collocazione originaria. Vai all'articolo |
IL GOVERNO DI BAKU CENSURA LA SALAKHOVA ALLA BIENNALE Autore: Gaia Fattorini
Due teli per nascondere oscenità che non rappresentano un paese. La censura si abbatte sulla biennale di Venezia, con un episodio che non fa onore né al governo dell'Azerbaigian che l'ha promossa né alla stessa Biennale che l'ha permessa, ma che non fa altro che aggiungere un altro capitolo alla secolare storia del controverso rapporto fra arte e potere. Soprattutto quando c'é di mezzo, come avviene in laguna, la rappresentazione di singoli paesi. La protagonista, stavolta, è Aidan Salakhova, artista azera che si è presentata alla Biennale con due sculture che hanno fatto arrabbiare il governo: si tratta di 'Waiting Bride', che rappresenta un corpo femminile con un velo nero che la ricopre dalla testa ai piedi e 'Black Stone'. contente un'immagine della pietra nera della Mecca, simbolo di culto per la religione musulmana, contenuta in una vagina di marmo. Vai all'articolo |
ILEANA SONNABEND. UN RITRATTO ITALIANO Autore: Angiolina Polimeni
A Venezia è protagonista l'arte contemporanea. Ad inaugurare l’importante stagione espositiva veneziana ed in diretta contemporanea con la biennale, la Fondazione Guggenheim con sede presso la Cà Venier dei Leoni, ospita fino al 2 ottobre la mostra: “Ileana Sonnabend, un ritratto italiano”.
La mostra, il cui filo conduttore è l'Italia vista dagli occhi degli artisti sostenuti dalla “più grande gallerista del XX secolo”, è stata organizzata dal direttore della Sonnabend Gallery di New York e figlio adottivo della stessa Ileana, Antonio Homem e dal direttore della Collezione Peggy Guggenheim, Philip Rylands. La scenografia entro la quale si muove l’esposizione è la casa di un altra celebre donna dell’arte contemporanea, l’estrosa collezionista americana Peggy Guggenheim che sino alla sua morte visse in questo splendido palazzo settecentesco che ha accompagnato le sorti della nota famiglia di dogi e procuratori Venier e della marchesa Luisa Casati, musa di importanti artisti ed intellettuali del secolo scorso. Vai all'articolo |
Giardini, gli spazi interiori di Marco Neri Autore: Francesco Neri
“Quando partecipai alla Biennale di Venezia del 2001 fu lo stesso Harald Szeemann a volere le mie bandiere esposte in apertura della manifestazione come una sorta di abbraccio simbolico capace di comunicare coesione e inclusione” racconta l’artista Marco Neri all’inaugurazione della sua prima personale alla Galleria Pack di Milano intitolata “Giardini”. Una mostra che ripercorre l’esperienza veneziana con 38 opere (26 collage, 5 sculture e 7 dipinti) che rappresentano tutti i padiglioni della Biennale. “Non ho voluto escludere nessun padiglione esattamente come dieci anni fa non ho escluso la bandiera di nessun Paese nell’opera il Quadro Mondiale - continua l’artista – l’adesione, infatti, è uno dei concetti principali della mie opere e, in questo caso, ho voluto dimostrarlo utilizzando dei materiali come il nastro adesivo che per definizione aderisce perfettamente”. Così gli edifici dei padiglioni della Biennale incontrano la bi dimensione binaria di Marco Neri. Vai all'articolo |