Alcune domande a Giovanni Sessa sul progetto Nuova Oggettività

 
Alcune domande a Giovanni Sessa
da Sandro Giovannini e Roberto Guerra



Domanda: C’è il rischio di mimare i maestrini dalla penna rossa, cosa risibile, ma ci sorge spontanea la domanda:... se non sia utile una sorta di “guida comportamentale” per aggirarsi tra i labirinti degli atteggiamenti psicologici che contornano il cosiddetto parco delle idee che conosciamo ormai come formanti l’orizzonte del nostro procedere? Quindi non tanto o non solo le idee in quanto tali, ma la cosiddetta “postura caratteriale” che le supporta o le rende più o meno capacitanti...

Risposta: La necessità di tornare a riflettere sulla “postura caratteriale” di chi dovrebbe essere nel quotidiano, oltre che nello specifico del proprio agire, latore di una visione e di un atteggiamento esistenzialmente olista, la dice lunga sull’importanza del progetto della “Nuova Oggettività”. La pervasività dell’atomismo sociale, intellettuale, psicologico, è giunta così nel profondo da lacerare il tessuto comunitario che teneva insieme un’intera area di pensiero e più generazioni di intellettuali ad essa afferenti. La Nuova Oggettività, anche da questo punto di vista, può rappresentare un punto di svolta e di ripresa. Come i lettori, in autunno, potranno personalmente constatare, nelle pagine del Libro-Manifesto, la dimensione partecipativa, viene rivalutata non soltanto in termini pragmatici ed operativi, ma a un livello più profondo, quello spirituale ed interpersonale. Ciò ha reso l’esperienza che comunitariamente stiamo vivendo, connotata non solo da costitutiva libertà di ricerca e di proposta politico-intellettuale, ma mirata al superamento di ogni letteralismo ideale, al fine di far riemergere la ragione interna, profonda, unica di quell’identità plurale che inevitabilmente, è il dato dal quale partire e con il quale confrontarci. Può essere utile riferire, in merito alla “postura caratteriale”, quanto mi sono permesso di suggerire in postfazione, con le parole di Philippe Forget: “La tradizionalità (vero momento di sintesi delle diverse istanze emerse nel Libro-Manifesto) è una trama di differenze che si rinnovano e rigenerano nell’humus di un patrimonio costituito da un aggregato di esperienze passate, messo in gioco nel proprio superamento. La tradizionalità deve sforzarsi di proteggere le forze di metamorfosi di un gruppo a partire ad se stessa”. Pertanto, se per certi aspetti è anche “naturale” che in questo processo di confronto-rilettura del nostro “da dove”, emergano differenze e dissensi, d’altro lato è necessario che essi non turbino il processo di costruzione del “per dove”, cui miriamo. Allo scopo, la “tenuta interiore”, caratterizzata da sobrietà ideale, apertura, accettazione sintetica delle diversità, rinuncia a sterili narcisismi, è certamente essenziale. Gli strumenti indispensabili allo scopo, sono probabilmente quelli a cui ho già fatto riferimento in un’altra intervista, la forza che deve venirci dai traguardi che muovono il progetto, certamente più grandi di noi, e un sano equilibrio, che è giusto trarre dall’esigenza che ci ha spinti a prendere parte allo stesso. Naturalmente, è un invito che rivolgo, innanzitutto a me stesso, ma anche agli altri amici coinvolti nel movimento.

Domanda: Perché il dato metodologico è sempre stato così poco seguito, fino a divenire un illustre assente nel nostro orizzonte ideale? Per un pregiudizio essenzialista? Per motivi stringenti ed innegabili ma contingenti ed ormai superabili?

Risposta: Probabilmente la trascuratezza con la quale è stato trattato, dall’area di riferimento, il dato metodologico, è riferibile ad entrambe le ragioni che ricordate nel Vostro quesito. Inoltre, tali ragioni oltre che superabili, da più di un punto di vista, mi paiono superate. Spero che molti se ne rendano conto via facendo, al fine di non sprecare l’occasione, che a mio modo di vedere, è fornita dal movimento della Nuova Oggettività. La necessità di confrontarsi con il metodo in tale movimento è stata imposta dal suo essere, fin dall’origine, “in fieri”, qualcosa quindi da costruirsi. Da qui, il problema del “in che modo?”. Per questo, oltre all’aspetto inclusivo, in esso sta ora emergendo come centrale il problema di “divenire” una presenza comunicativa recepita. Che possa, cioè, far sentire la propria voce e che ciò non si traduca nell’ormai consueto, in questo ambiente, parlarsi addosso, tra i soliti noti. Pertanto, i primi passi in questo ambito, la creazione del blog, le interviste che saranno pubblicate su diverse riviste, potranno assumere un ruolo significativo, per scongiurare, entro certi limiti almeno, la marginalizzazione mediatica di questo tentativo. Mi sembra essenziale, inoltre, che il Coordinamento nazionale mantenga, nei suoi diversi organismi, segretariali e/o di comitato scientifico, le distanze, come fino ad oggi peraltro è stato, dalle logiche e dalle diatribe di forze politiche presenti sul mercato del sistema politico attuale. Solo così si potrà parlare davvero a tutti. Si tratta, per ora, soltanto di speranze, ma la vita si nutre di esse, soprattutto per chi è fermamente convinto, che la storia sia apertura inesausta.

Domanda: La “Nuova Oggettività” ed il movimento culturale che la propone e la sostiene è invece particolarmente attento al dato metodologico ed implicitamente comportamentale. Istruzioni per l’uso...

Risposta: Il movimento della “Nuova Oggettività”, fin dagli esordi, ha individuato alcuni tratti caratterizzanti la propria visione delle cose, nella scelta olista, comunitarista, partecipativa, differenzialista, anticapitalista e antigloblista. Detto questo, ha stabilito che le tre grandi “famiglie”di provenienza ideale dell’area di riferimento, quella classica e tradizionale, quella postmodernista e quella legata alla Sequela evangelica, avessero tutte da contribuire al progetto sintetico “al di fuori di ogni dogmatismo fideistico”. Il che connota il metodo del movimento come dialogico, inclusivo oltre che mirato a valorizzare più ciò che unisce, rispetto a ciò che divide. Metodo esegetico, in quanto individua le afflizioni, pragmatico in quanto latore di rimedi, individuali e comunitari, esistenziali e politici.

Domanda: Si riuscirà a far capire, nell’essenza e non nella forma, che la “Nuova Oggettività” si vuol muovere partendo, integrando, valorizzando le precedenti, esistenti ed operanti esperienze e non solo assorbendole, reificandole od annullandole? . Cioè che si pone il “problema dei piani”, posto da pochi tra di noi e sempre pochissimo ascoltato, sui quali una personalità “risolta” o “matura”, che ha comunque già raggiunto (e dimostrato) un livello minimo di intellettualità agente, sa operare senza confusioni, sovrapposizioni, esclusioni, ma con duttile efficacia e con una proiettività più rivolta ai risultati che alle petizioni di solo principio? Siamo poi anche dei reali interrogatori dell’eterogenesi dei fini... Ne discuteremo a fondo in futuro...

Risposta. Ciò, non è solo quanto si spera di poter effettivamente realizzare, ma è l’esigenza che ha animato, da sempre, le nostre intenzioni. Ognuno di noi ha alle spalle una storia personale, scandita dalla passione, non semplicemente intellettuale, per determinati autori, filosofie, e “testi sacri”, i più disparati e diversi. Si tratta, appunto, di far prosperare il proprio dato esistenziale e connotativo, in un campo più vasto, dove si ponga in congiunzione con altri vissuti, scuole di pensiero, non per giungere a uno sterile eclettismo, ma per riconquistare, attraverso la personalità “matura”, egemonica, di cui dite nella domanda, un orizzonte più vasto. Di esso non bisogna bearsi contemplativamente, ma è necessario tornare a farne il luogo in cui esercitare quelle qualità virtuose che, ancora con Aristotele, facevano dire che, per l’uomo ben nato: “Felicità è agire”. Per questo, credo di poter sostenere che i primi aderenti alla “Nuova Oggettività”, hanno visto in questo movimento nascente la possibilità di potersi porre al servizio di una comunità, nella speranza di un Nuovo Inizio.

Domanda: Nella pratica delle adesioni in fieri alla “Nuova Oggettività” si riscontra “fortunatamente” (vedi domande sopra) una incongruità evidente rispetto al solo piano cosiddetto ideologico... l’adesione avviene più per un “mutamento di cuore” “riconoscimento del cuore”, come suggeriva ed auspicava Lami, e come è stato sempre nella nostra tradizione creativa e magistrale, che per un semplice allineamento di idee... ciò è dimostrato dai nomi e dalle storie personali... ?

Risposta: Assolutamente e fortunatamente si. Il Libro-Manifesto, al momento della sua pubblicazione, metterà in luce, innanzitutto la sua funzione registrativa. Al medesimo tempo, il lettore prenderà atto dell’elevato livello di partecipazione emotiva degli autori. Ciò, evidenzia il loro “mutamento di cuore”, la volontà di testimonianza che ci hanno fornito. Con il che, molti testi hanno assunto quel carattere fondamentale di “comunicazione d’esistenza” che, come diceva Kierkegaard, ha come obiettivo un conseguente“poter agire”. Naturalmente, su un piano alto e propositivo, quello delle visioni del mondo.

Domanda: E se - paradossalmente – forse riflesso ancora in-visibile, infrarosso della cosiddetta società liquida o dei simulacri - oggi il cosiddetto Cuore... fosse proprio già un metodo o contrometodo, ovvero il pacemaker pulsante per una... “E” sempre in progress, oltre l'eterno “Ma”, che sterilizza la parola libera, il pensiero-azione?

Risposta: Perché si torni a porre “in forma” il mondo, il pensiero-azione, deve recuperare quel “baleno”, quel centrarsi su un assoluto sentire e volere, che è totalmente assente dalla società liquida. Esso, inevitabilmente, prevede un recupero di “Cuore”, di cuore come centro di una personalità orientata e costruita attorno alla dimensione noetica. Solo una personalità siffatta che, in ultimo, è quella sorta dall’ “esperienza classica della ragione”, può oggi, tendere imboscate alla storia, sorprenderla, scoprire un’altra modernità e attraverso la Nuova Oggettività tornare a porre in congiunzione popolo, partecipazione e destino. Compito questo ineludibile e che, per definizione, è sempre necessariamente inconcluso. Appunto, un “in fieri” eterno.