Jules Verne è un poeta del XIX secolo e non un ingegnere del XX secolo. La radio, I raggi, il cinema, l’automobile, che ha visto nascere, non giocano nella sua opera un ruolo importante. E si può sottolineare, per esempio, che lo stesso motore del Nautilus e il cannone che spedisce degli astronauti verso la luna, sono macchine da teatro. Ma una dei più bei romanzi ”Cinquecento Milioni della Begun”, anticipa il primo satellite artificiale e il Nautilus precede di soli dieci anni I sottomarini dell’ingegner Laubeuf. Verne non suggerisce I mezzi tecnici che avrebbero potuto consentire la realizzazione dei moderni congegni, ma ne evoca l’esistenza e la potenza. I capovolgimenti che la scienza può suscitare sfuggono ad ogni previsione e nostri autori di fantascienza non sono certo più vicini all’anno 2100 di quanto Jules Verne non fosse più vicino, nel 1875 o nel 1880, al mondo d’oggi, agitato dallo spettro della catastrofe nucleare. Verne era qualcun altro un creatore che fa concorrenza alla scienza, ma incarna la straordinaria e, ad un tempo, terribile, poesia, di miti affascinanti, che aprono una favolosa stagione dell’avventura dell’uomo. Verne non è un metafisico: nei suoi astronauti, durante i loro viaggi stellari, non vive l’anima di Pascal; neppure si può individuare in lui un sociologo, che, con “Michele Strogoff”, scopre le ragioni dei rivoluzionari russi del XIX e del XX secolo. Narratore, romanziere, drammaturgo, creatore di fictions, Verne sviluppa con una verve inesauribile, un genio pari a quello di Dumas padre. Mentre quest’ultimo, tuttavia, nutre la propria opera del passato, in Verne vibra un instancabile rapporto tra presente e futuro.
Casalino Pierluigi, 9.04.2011.