Scoperta shock per gli scienziati della Washington University: i ricercatori americani hanno “mappato” il dna del cancro in 50 donne malate di carcinoma mammario e hanno scoperto ben 1.700 mutazioni, quasi tutte “uniche” nel senso che quelle che ricorrono frequentemente sono solo 5. CONCLUSIONI: OGNI PAZIENTE è UNA STORIA A SE’
La notizia è stata divulgata dall’agenzia AdnKronos: ogni TUMORE HA UN IDENTIKIT UNICO proprio come ogni persona è diversa dall’altra e lo è nei genomi (ossia nel “materiale genetico” ereditabile) come nelle impronte digitali. Personalizzare le cure sarà impresa sempre più titanica, ma NECESSARIA
Che ogni cancro fosse diverso dall’altro gli oncologi lo avevano capito da tempo. Eppure è stato ugualmente «uno shock» per l’èquipe americana scoprire che le affinità fra un tumore e l’altro si limitano a un pugno di mutazioni ricorrenti: sostanzialmente 5. I ricercatori guidati da Matthew Ellis, nel più grande studio di genetica dei tumori mai condotto finora, sono riusciti a mappare per intero il genoma del cancro al seno in 50 malate, confrontando il Dna tumorale con quello ottenuto da cellule sane delle stesse pazienti.
Un lavoro immane che ha coinvolto oncologi, patologi e genetisti. Insieme, hanno passato in rassegna oltre 10 “trilioni” (10 mila miliardi) di mattoncini (basi) che compongono il Dna, ripetendo ogni opera di sequenziamento (sia sul genoma sano che su quello malato) per 30 volte a paziente.
Nei tumori analizzati sono state individuate oltre 1.700 mutazioni, in
stragrande maggioranza uniche, ossia presenti soltanto in una paziente. I risultati sono stati presentati a Orlando, Florida, dove si è aperto ieri il 102esimo meeting annuale dell’American Association for Cancer Research (Aacr).
I campioni di Dna sono stati ottenuti da pazienti arruolate in uno studio clinico guidato da Ellis per l’American College of Surgeons Oncology Group. In tutte le malate, il tumore è risultato positivo al recettore degli estrogeni. Significa che, legandosi a questi ormoni, la neoplasia cresce e a si espande.
Per ridurne le dimensioni facilitando l’asportazione del tumore, ogni paziente ha ricevuto prima dell’intervento chirurgico una terapia antiestrogenica, ma gli scienziati hanno osservato che solo 26 tumori su 50 rispondevano alla cura.
Apparentemente la neoplasia era uguale (ER+, cioè positiva ai recettori degli estrogeni), ma la stessa terapia funzionava soltanto in una paziente su due.
In linea con quanto emerso da ricerche precedenti, Ellis e colleghi hanno confermato che due mutazioni sono comuni a buona parte delle pazienti: la mutazione del gene PIK3CA era presente nel 40% circa delle malate del campione, mentre quella del gene TP53 nel 20%. Gli studiosi hanno identificato una terza mutazione, comune al 10% circa delle pazienti: quella del gene MAP3K1 che regola i meccanismi del cosiddetto “suicidio cellulare”, in base al quale le cellule malate tendono ad autoeliminarsi. Ma appena altre due mutazioni – ai geni ATR e MYST3 – ricorrevano in percentuali simili a MAP3K1. «Scoprire che erano così poche è stato uno shock»,
confessa Ellis.
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