Il giudice ordina di desecretare le 300 pagine che svelano il tesoro nascosto degli ex Democratici di sinistra. Ma la Procura non ha mai aperto un'inchiesta
Luca Fazzo - Gian Marco Chiocci
Milano «It would be better to avoid showing mr. Massimo D’Alema as rapresent Il Partito del D.S. as this could cause all sort of complication». Traduzione: «Sarebbe meglio evitare di mostrare Massimo D’Alema come rappresentante del partito dei Ds, perché questo potrebbe provocare ogni tipo di complicazioni». Eccolo, finalmente, il foglio che per cinque anni è rimasto segreto, negli armadi blindati della Procura e del tribunale di Milano, e che adesso viene riportato alla luce per ordine di un giudice. E insieme a quel foglio - coperto da grandi macchie, ma leggibile in molte sue parti - viene alla luce l’intero dossier: nome in codice «Oak Fund».
È il dossier che fa tremare i Ds. Nel rapporto riservato sul presunto tesoro dell’ex Pci-Pds-Ds che il capo della Security di Telecom, Giuliano Tavaroli, commissionò all’agenzia d’investigazioni private Polis d’Istinto, si parla diffusamente di personaggi, società e conti esteri riconducibili al partito di D’Alema. Quel D’Alema che come presidente del Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti, lo scorso novembre provò a scavalcare il segreto di Stato per mettere le mani sul preoccupante carteggio fin lì definito una «bufala» da lui stesso, da Fassino e dall’ufficio legale del partito. Richiesta respinta. In base al decreto Mastella - varato in fretta e furia dal Parlamento dopo l’esplosione dello scandalo Telecom - tutti i dossier erano destinati a essere distrutti, seppellendo per sempre i loro contenuti, veri o fasulli che fossero.
Ma giovedì scorso una novità inattesa fa irruzione sulla scena del processo in corso a Milano agli uomini accusati di avere realizzato quei dossier. Il presidente della Corte d’assise Piero Gamacchio si vede recapitare in aula l’intero malloppo: a inviarlo è un altro giudice, Giuseppe Gennari, che dovrebbe occuparsi della distruzione del materiale. Ma Gennari dice: non ho trovato alcuna prova che questi dossier siano stati raccolti illegalmente, per cui devono fare parte a pieno titolo del processo. Il segreto, insomma, è tolto sull’intera attività della «Security» di Telecom. Compreso il dossier «Fondo». Quello sul fondo della Quercia.
Il Giornale ha potuto leggere per intero il dossier. È una lettura che apre scenari inquietanti. Dentro c’è tutta la storia del conto, ci sono ripetuti riferimenti a D’Alema, al suo partito, ai suoi presunti incaricati d’affari. Certo, sono tutte tracce che andrebbero verificate da un’inchiesta ufficiale. Ma - e questo è il secondo aspetto inquietante - una inchiesta ufficiale non c’è mai stata. A leggere il dossier, si comprende appieno lo stupore con cui l’anno scorso il giudice Mariolina Panasiti, rinviando a giudizio gli attuali imputati, sottolineò l’assenza di qualunque sviluppo investigativo dei suoi contenuti.
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