14 APRILE 2010 New York Tariq Ramadan elogia il Nonno alleato di Hitler

14 4 2010! Tariq Ramadan è tornato negli Stati Uniti dopo essere stato tenuto per sei anni al bando dal territorio americano. L’intellettuale svizzero Ramadan è approdato negli States per un giro di conferenze dopo che il segretario di stato Hillary Clinton ha revocato il divieto. E il suo primo incontro pubblico a New York ha causato grande imbarazzo al celebre accademico accusato di parlare una doppia lingua: una moderata e presentabile di fronte agli occidentali, un’altra fondamentalista per le folle musulmane. All’aeroporto di Newark, Ramadan è stato accolto dall’American Civil Liberties Union, l’associazione che per anni si è battuta per il suo ritorno negli Stati Uniti.

Nel 2004 l’Amministrazione Bush aveva revocato il visto al professore che era stato chiamato a insegnare all’Università Notre Dame. Il caso sarebbe diventato uno dei principali banchi di prova del rapporto tra libertà accademica e sicurezza nazionale dopo l’11 settembre. Fu il giudice federale Paul Crotty di Manhattan a stabilire che il celebre islamologo svizzero non aveva diritto a entrare negli Stati Uniti, dando così ragione alla Casa Bianca di Bush che aveva imputato all’attivista islamico la donazione, tra il 1998 e il 2002, di 1.300 dollari a una fondazione svizzera legata ad Hamas. Alla fine dello scorso anno Ramadan aveva poi perso il posto di consulente della città di Rotterdam e di docente presso l’Erasmus University per aver proseguito nella conduzione di un programma su Press tv, il canale televisivo internazionale del regime iraniano.

Il primo incontro americano di Ramadan si è svolto alla Cooper Union di New York e l’evento è stato moderato dal giornalista di Slate Jacob Weisberg, mentre a incalzare Ramadan c’era il noto giornalista del New Yorker George Packer. Al suo arrivo, Ramadan è stato accolto da una standing ovation. Al suo fianco c’era la prima consigliera di Obama sull’islam, Dalia Mogahed, velata, egiziana di nascita e vicina alla Muslim American Society, l’organizzazione statunitense affiliata alla Fratellanza musulmana.

Quello di Ramadan non è stato un invito all’integrazione o tanto meno all’assimilazione. “I musulmani devono tornare alle proprie origini”, ha proclamato Ramadan. Di fronte al pubblico newyorchese, Ramadan ha elogiato il velo islamico: “Se ci limitiamo a guardare il modo in cui le donne sono vestite, possiamo credere che siano oppresse da una società maschilista. Ma se ascoltiamo i loro discorsi e osserviamo il modo in cui sono coinvolte nella vita comunitaria, scopriamo l’esistenza di una nuova leadership”. Queste donne col velo “rigettano l’occidentalizzazione e vogliono la libertà”. George Packer del New Yorker ha avuto parole molto dure sul professore islamista: “Era come se si rivolgesse a immigrati musulmani di seconda generazione in una moschea di Lille o Leicester”.

Ma senza dubbio il momento di maggior tensione dell’incontro, quello che ha fatto i titoli dei giornali americani, è stato quando il giornalista del New Yorker ha ricordato, con tanto di citazioni, l’adesione al nazismo da parte del nonno di Ramadan, il fondatore dei Fratelli musulmani Hassan al Banna. Si tratta di un capitolo decisivo nella recente storia dell’islam. Perché chiama in causa l’animatore del più vasto movimento islamico del Novecento e il muftì di Gerusalemme Husseini, il più importante leader musulmano in Palestina durante la Seconda guerra mondiale. Ramadan ha così risposto a Packer: “Molte cose che Al Banna ha detto, come la resistenza al colonialismo britannico e la diffusione dell’islam come forza di opposizione, io le rispetto. Le affermazioni di Al Banna devono essere viste nel contesto della resistenza contro i colonizzatori europei”.

Al Banna appoggiò il muftì di Gerusalemme Husseini, che di Hitler fu alleato, nella sua guerra contro gli ebrei. Ramadan ha detto che “al Banna sostenne il Muftì nel contesto della lotta contro la silente colonizzazione della Palestina e i gruppi terroristici ebraici”. Packer ha replicato: “Non mi piace contestualizzare l’alleanza con un collaborazionista nazista”. Alla fine l’islamista ha così giustificato la scelta del nonno: “Al Banna appoggiò chi diceva che la Palestina dovesse essere liberata dal tentativo di creare lo stato d’Israele in quel luogo”. Insomma, nessuna condanna o presa di distanze dalla sciagurata alleanza fra il potente leader islamico e la macchina genocida di Hitler.

di Giulio Meotti