Maiomonide di Pierluigi Casalino

                                  LIBERTA’ E RAGIONE
Recenti e autorevoli affermazioni sull’astrologia hanno rinfocolato antiche polemiche sull’attendibilità o meno di una disciplina nata con l’uomo. Un illustre precedente di questo interminabile dibattito risale al 1196 e si riferisce a un episodio della vita del grande filosofo e medico ebreo andaluso Moses Maimondide, noto anche come Mosheh ben Maymon o Ibn Maimun, come lo chiamavano gli Arabi. Il pensatore di Cordova, all’epoca soggiornante a Fustat, la città vecchia del Cairo, riceve una lettera inviatagli da Montpellier da alcuni rabbi della Francia meridionale per porgli alcuni quesiti sugli oroscopi e le divinazioni. Maimonide, autorità conclamata anche presso i musulmani, risponde volentieri e con la consueta saggezza e il provato equilibrio, pur con un misto di stupore e di imbarazzo per il tenore della domanda. Il maestro mette senz’altro in dubbio il valore scientifico delle credenze astrologiche, che oltre tutto vanificherebbero la preghiera e gli insegnamenti della Torah. Un’alternativa, dunque, si pone, secondo il filosofo ebreo, tra la fede nel Santo Nome o l’idolatrico affidamento alle stelle. Se è vero, tuttavia, che nel Talmud si legge che Dio dice a Abramo: ”Esci dal tuo oroscopo, non c’è influsso astrale per Israele”, nello stesso tempo nel sacro libro si riporta l’opinione opposta secondo cui “gli astri rendono sapienti, gli astri rendono ricchi”. D’altra parte chiamare in causa il determinismo stellare, anziché la sola giustizia divina che distribuisce premi e punizioni, può rivelarsi utile per popolare quella zona franca nelle vicende umane in cui il meccanismo retributivo può incepparsi. In realtà i rabbi di Francia chiedono a Maimonide di fugare la confusione degli animi, aiutandoli a comprendere il senso di tale apparente contraddizione di opinioni. Maimonide risolve il problema con un taglio netto, al pari del gesto di Alessandro il Grande nel recidere il nodo di Gordio. Consapevole dell’ambivalenza del quesito, l’intellettuale cordovano rilancia in maniera esemplare. La soluzione di una simile richiesta sta nel valutarla nel suo effettivo contenuto conoscitivo. E qui risiede tutta la grandezza del genio di Maimonide. Ogni conoscenza va considerata solo al vaglio della ragione e attraverso la dimostrabilità dei sensi, in ossequio alla tradizione dei profeti e dei giusti, ma anche della filosofia aristotelica. L’astrologia, pertanto, non rientra in nessuna di queste categorie e come tale si manifesta come scienza pretestuosa e volta all’inganno di ingenui e di miscredenti. Tra questi ultimi, peraltro, si trovano altri pensatori del suo tempo, tra i quali gli arabi – e non a caso Maimonide scrive in prevalenza in arabo – così connessi alla scolastica latina europea - ma anche altri correligionari giudei, come Saadi Gaon o Ibn Zolfara. I cultori delle stelle celebreranno poi il loro trionfo nel Rinascimento, radicalizzando l’assunto aristotelico e sposandolo con le suggestioni neoplatoniche. Anche il persiano Ibn Sina^ (Avicenna), proclamando l’eternità del mondo, sembrò inclinare verso la convalida delle pretese divinatorie astrologiche, abbracciando una concezione in contrasto con la Bibbia e con il Corano. L’araboandaluso Averroè (Ibn Rushd) correggerà questa visione ereticale contrapponendole il “principio fondamentale della giustizia divina”. La rivelazione, secondo Averroè, deve passare comunque al vaglio della ragione e dell’equilibrio delle facoltà umane. Ciò nondimeno il cerchio si chiude proprio con la dottrina di Maimonide, che sigilla la diatriba con un ammonimento dal significato perentorio. “L’uomo non deve mai respingere dietro di se la ragione – dice il filosofo -; gli occhi, infatti, sono posti davanti, non dietro”. Una verità che si colloca tra libertà e ragione. Quanti, ancora oggi, non lo sanno?
 
Casalino Pierluigi, 22.01.2010.